“Non vi paghiamo”, icona storica del Made in Italy lascia sul lastrico le sue dipendenti | Da giugno in bancarotta nera

lavoro (pexels) - cataniaoggi

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Fabbriche chiuse, stipendi sospesi, cassa integrazione che scade: lo spettro della crisi produttiva colpisce ancora.

C’è un’Italia produttiva che resiste, e un’altra che si sgretola in silenzio. Ogni mese, piccole e grandi realtà imprenditoriali alzano bandiera bianca. A rimetterci sono sempre loro: i lavoratori. Operai, impiegati, tecnici specializzati che da un giorno all’altro si ritrovano senza certezze, in attesa di una cassa integrazione che spesso arriva tardi, se arriva.

Le crisi industriali non fanno più notizia, eppure dietro ogni azienda che fallisce c’è una rete di vite sospese. I numeri sono impietosi: da Nord a Sud si moltiplicano le procedure di liquidazione, le serrande abbassate, gli appelli dei sindacati rimasti inascoltati. E intanto la macchina dello Stato fatica a dare risposte efficaci e tempestive.

Dai distretti industriali del Centro Italia alle aziende tessili del Nord Est, passando per le realtà manifatturiere del Mezzogiorno, lo scenario è sempre lo stesso: crollo degli investimenti, delocalizzazioni, fondi speculativi che comprano e svuotano, senza preoccuparsi del futuro dei lavoratori.

Ma proprio quando tutto sembra perduto, ci sono casi in cui la determinazione di chi resta sul campo riesce a ribaltare il finale, almeno in parte. È il caso che sta scuotendo in queste ore il settore della moda italiana. Una vertenza che riguarda uno dei marchi più iconici del lusso Made in Italy.

Una crisi lunga, un simbolo da salvare

Tra le tante storie di fabbriche in affanno, quella del Gruppo La Perla ha acceso i riflettori sul lato più fragile del nostro sistema industriale. Dopo mesi di incertezza, liquidazione, stipendi bloccati e dipendenti esclusi dagli ammortizzatori sociali, arriva oggi una svolta decisiva.

Il Ministero del Lavoro, in accordo con il Mimit, ha prorogato la cassa integrazione straordinaria per 37 lavoratrici del gruppo. Donne del settore Management che rischiavano di restare escluse da ogni forma di tutela sociale. Una misura resa possibile grazie a una norma inserita nel recente decreto-legge a sostegno dei comparti produttivi.

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Chi paga davvero il prezzo delle crisi?

Il passaggio è arrivato dopo l’acquisizione del Gruppo da parte del magnate Peter Kern, già a capo della Luxury Holding LLC. Un nuovo piano industriale è sul tavolo, con promesse di rilancio e nuove assunzioni. Ma la transizione è complessa e non priva di incognite: i sei mesi di proroga si esauriranno il 25 luglio, mentre la nuova società partirà solo in autunno.

Nel frattempo? Le lavoratrici restano appese a un filo. Alcune, come denunciato da Stefania Pisani (Filctem-Cgil Bologna), erano già senza reddito da aprile, e hanno ricevuto solo in questi giorni un anticipo minimo sui crediti, grazie a una piccola banca locale, la Popolare di San Felice, che ha creduto nell’economia reale dove altri hanno preferito chiudere gli occhi. Ma il caso La Perla, diventato simbolo della resistenza operaia, apre un fronte molto più vasto: quello delle società in liquidazione, che di norma non rientrano nei parametri degli ammortizzatori sociali. Un vuoto normativo che rischia di colpire centinaia di realtà in tutta Italia. Con l’articolo 8 del decreto-legge 92, è stata riconosciuta per la prima volta la possibilità di prorogare gli ammortizzatori anche per chi è dentro a un processo di liquidazione, se esiste un concreto piano di rilancio. Un precedente fondamentale che potrà essere esteso ad altri casi simili.