“Oro verde in bilico: la Sagra del Pistacchio di Bronte sfida lo stop ai fondi regionali”

Pino Firrarello

Quando Pino Firrarello annuncia battaglia, le scintille non sono metafora. L’ex senatore, quattro volte sindaco di Bronte, non intende digerire quella che viene definita come «una sciocchezza»: l’azzeramento del contributo regionale alla 34ª Sagra del Pistacchio prevista per ottobre 2025. A rendere la decisione ancora più indigesta è la contemporanea erogazione, il 9 luglio, di 50 mila euro al Consorzio di tutela del Pistacchio Verde di Bronte DOP per l’evento «Bronte e il suo pistacchio DOP», fissato dal 3 al 5 ottobre, cioè proprio negli stessi giorni della Sagra comunale.

Il doppio binario burocratico era stato tracciato il 4 luglio, durante il convegno «Governo della Regione a sostegno dell’agricoltura brontese». In prima fila l’assessore all’Agricoltura Salvatore Barbagallo e il deputato leghista Luca Sammartino, già titolare del dicastero. Sammartino ha ringraziato pubblicamente il presidente del Consorzio Enrico Cimbali, suscitando l’ira di Firrarello e la reazione del forzista Salvo Tomarchio, che in Assemblea regionale ha chiesto perché, dopo trent’anni di sostegni stabili (40 50 mila euro l’anno), la Sagra sia scesa a 5 mila euro nel 2024 e a zero nel bilancio corrente. «Nei palazzi si distribuiscono fondi senza trasparenza», attacca il deputato.

Dietro il braccio di ferro, però, c’è un tesoro che va oltre una posta di bilancio. Il Pistacchio Verde di Bronte, riconosciuto DOP dall’Unione europea nel 2009, vale appena l’1 % della produzione mondiale ma domina l’immaginario grazie al colore smeraldo e all’aroma che il suolo lavico dell’Etna gli conferisce. Aziende come Pistì sono diventate ambasciatrici planetarie: esportano creme, praline e panettoni in 41 Paesi, con l’estero che incide già per il 30 % del fatturato. In altre parole, “Bronte” è ormai un marchio globale, un caso da manuale di economia territoriale.

La Sagra ha trasformato questa eccellenza agricola in volano turistico. Nel 2022 più di 200 mila visitatori hanno invaso Bronte in due fine settimana, record che ha consacrato l’evento fra le vetrine enogastronomiche più affollate del Mezzogiorno. Nel 2024, alla sola prima domenica, la folla contava «molti stranieri», segno che il richiamo ormai supera da tempo i confini nazionali. Gli hotel dell’Etna segnano il tutto esaurito, le guide organizzano trekking fra pistacchieti e crateri, i ristoratori sfoderano menù verde smeraldo. Non è più una festa di paese: è un hub di turismo esperienziale che intercetta flussi in autunno, quando la Sicilia tradizionalmente rallenta.

Per questo Firrarello non molla la presa. Il 21 luglio ha spedito una lettera a Palermo reclamando i 50 mila euro negati e chiedendo il programma dettagliato dell’evento finanziato al Consorzio. «Non si possono lasciare decisioni simili ai capricci di un assessorato», tuona, ammonendo che senza la Sagra Bronte perderebbe la sua vetrina globale. Nel frattempo la macchina comunale procede: via Umberto tornerà pedonale per ospitare gli stand DOP, saranno ripristinate le navette per alleggerire la statale 284, e nell’ex Collegio Capizzi si terranno laboratori sulla potatura e tostatura del pistacchio.

Anche senza fondi regionali, la 34ª edizione si farà. «A Bronte non ci fermiamo, perché fermare la Sagra significherebbe frenare un distretto economico», ribadisce il sindaco. Ecco perché la contesa non è un semplice derby di campanile, ma lo specchio di come la Sicilia intenda valorizzare – o disperdere – il capitale simbolico di uno dei suoi prodotti icona. Ogni chicco racconta il vulcano, ogni stand racconta una comunità.