Ombre e impegno civico: tra segreti di mafia e formazione delle nuove generazioni

A distanza di oltre trent’anni dalle esplosioni di Capaci e di via d’Amelio, emergono ancora dubbi che romperebbero l’equilibrio di verità consolidate. Nei pochi mesi prima della sua scomparsa, riporta Repubblica, Matteo Messina Denaro ha incontrato i magistrati di Palermo, non per un accordo sugli sconti di pena, ma per veicolare un messaggio calibrato: «Vi siete accontentati di pensare che Falcone sia stato ucciso per il maxi processo. È riduttivo», ha puntualizzato, sottolineando che l’inchiesta si è fermata troppo presto alla figura di La Barbera, l’ex capo della Mobile palermitana indagato per aver depistato le indagini sulla morte di Borsellino.

Le indagini della Procura di Caltanissetta, diretta da Salvatore De Luca, puntano a chiarire i rapporti fra Arnaldo La Barbera e i servizi segreti (Sisde), reclutato nel 1988, quando era capo della Mobile di Venezia con il nome in codice “Rutilius”, nell’ambito di una collaborazione più ampia concordata con il capo della polizia dell’epoca, Parisi. Quel legame ufficiale, però, sarebbe terminato un anno prima che La Barbera giungesse a Palermo. Eppure, subito dopo la strage di via D’Amelio, sorprende la sincronia fra la Mobile palermitana e il centro locale del Sisde, come dimostra, secondo Repubblica una nota dell’agosto 1992 inviata a Roma: in essa si riferiva che la polizia avrebbe già raccolto informazioni riservate sull’autobomba parcheggiata accanto all’abitazione della madre del giudice Borsellino, ben prima dell’arresto della prima fonte sulla falsa pista della Guadagna. Chi abbia davvero firmato quel documento resta un mistero, visto che l’allora capo del centro Sisde, interrogato dai magistrati, non ricorda né conferma la propria firma.

Ritornando a Messina Denaro, il boss usando mezzi termini, avrebbe lasciato trapelare una trama più complessa di quella emersa finora, senza però sciogliere completamente i nodi. È lo stesso meccanismo già collaudato da Totò Riina durante un colloquio col figlio nel carcere di Opera: anche il “capo dei capi” affermò di non conoscere tutti i retroscena delle stragi e avvertì che «la mia ultima parola non si saprà mai», custodendo nel silenzio dettagli che nessuna sentenza potrà mai pronunciare.

Nel contempo, la lotta alla criminalità organizzata continua a misurarsi con nuove sfide educative e civiche. All’IIS Marconi-Mangano di Catania si è tenuto un convegno dedicato ai giovani, organizzato sotto l’egida del Lions Club e dell’associazione antimafia “Alfredo Agosta”. Dopo i saluti di dirigenti scolastici e rappresentanti delle associazioni, il capitano Beatrice Casamassa ha messo in guardia sulle insidie del “cavallo di ritorno” e del traffico di stupefacenti, evidenziando come la malavita non risparmi nessun ceto sociale. Il magistrato Dauno Trebastoni ha ammonito sui rischi legati all’uso sconsiderato dei social network, mentre la dottoressa Marisa Acagnino ha illustrato l’importanza di difendere i principi costituzionali, specialmente alla luce del recente Ddl sicurezza che, a suo avviso, privilegia l’ordine pubblico a scapito della libertà di espressione. Infine, Caterina Grillo ha lanciato un appello ai giovani: evitare di cadere nelle maglie della criminalità, per non compromettere il proprio futuro.

Oggi, infine, prende il via il primo weekend della Scuola di formazione politica “Piersanti Mattarella”, promossa dalla fondazione intitolata all’ex presidente della Regione Sicilia, 45 anni dopo il suo assassinio. Con sede a Roma e rivolta a cinquanta under 35, la scuola si propone di trasmettere ai partecipanti i valori di rigore istituzionale e legalità che furono cari a Mattarella. Domani, in coincidenza con il novantesimo anniversario della nascita del fratello del Presidente della Repubblica, gli interventi di Maria Falcone, Paolo Borrometi, Andrea Mattarella, Rosy Bindi e Giovanni Grasso offriranno un panorama a tutto tondo sul rapporto tra impegno politico e lotta alle organizzazioni criminali, tracciando un percorso che intende formare nuove leve pronte a difendere la democrazia dal rischio dell’illegalità.

In un Paese che non può permettersi di dimenticare, la memoria delle stragi e il racconto delle nuove generazioni si intrecciano: da un lato, il velo ancora da sollevare sulle responsabilità più oscure del passato; dall’altro, l’urgenza di seminare consapevolezza e rispetto delle regole per costruire un domani libero dalle ombre della mafia.

Tuttavia, resta da interrogarsi anche sulle recenti riforme investigative, come la legge “Zanettin” che ha fissato a 45 giorni il limite massimo per le intercettazioni in regime ordinario, con proroghe possibili solo dietro “assoluta indispensabilità” e motivazione puntuale. Se questo tetto fosse esistito già negli anni Novanta, molte delle intercettazioni che hanno portato a individuare i movimenti di Matteo Messina Denaro prolungate ben oltre i tre mesi grazie alle serie di rinnovi e ai regimi speciali sarebbero risultate illecite, privando gli inquirenti di fonti decisive per il suo arresto. Ne deriva un paradosso: un meccanismo pensato per tutelare la privacy dei cittadini finirebbe per ostacolare l’azione investigativa sui reati più gravi, allungando ulteriormente i tempi di cattura di boss latitanti e mettendo a rischio la sicurezza collettiva.