Lavoro, smetti di cercarlo: Meloni sgancia l’assegno di solidarietà, campi beato alle spalle dello Stato | Reddito gratis garantito per sempre
Divorzio - (cataniaoggi.it-pexels)
La legge sancisce, secondo il principio dell’autodeterminazione, un nuovo orientamento volto alla responsabilizzazione
La Cassazione torna a pronunciarsi su un tema delicato e spesso oggetto di controversie tra ex coniugi: il diritto all’assegno divorzile. Lo fa con l’ordinanza n. 10035 del 16 aprile 2025, stabilendo criteri sempre più rigorosi per la concessione del contributo economico. Il principio cardine resta quello dell’autodeterminazione, in base al quale ogni individuo, anche dopo la fine del matrimonio, è chiamato a valorizzare le proprie capacità per sostenersi autonomamente.
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda Marta, una donna di 40 anni, in buona salute e con una laurea. Dopo la separazione dal marito, Marta ha trascorso anni senza cercare attivamente lavoro. Al momento della richiesta dell’assegno divorzile, ha dichiarato di non disporre di mezzi di sostentamento propri e di avere bisogno di un sostegno economico. Tuttavia, la sua condizione di disoccupazione non è stata considerata sufficiente per ottenere il contributo.
Secondo l’orientamento consolidato della Cassazione, l’assegno divorzile non può essere concesso solo perché uno dei due ex coniugi è disoccupato. È necessario che tale condizione sia oggettiva e incolpevole, ovvero derivante da fattori non controllabili dal soggetto. In mancanza di prove concrete in tal senso, la semplice inattività non giustifica il riconoscimento del contributo economico.
Nella valutazione del diritto all’assegno, la Corte ha sottolineato l’importanza dell’atteggiamento assunto dall’ex coniuge. La decisione ha respinto la richiesta di Marta anche perché, pur avendo ricevuto proposte di impiego dall’ex marito, le aveva rifiutate in quanto ritenute poco remunerative. Una condotta giudicata deresponsabilizzante e attendista, incompatibile con il dovere di attivarsi per il proprio sostentamento.
Valorizzare le potenzialità professionali
I giudici di legittimità hanno ribadito che il diritto all’assegno divorzile si fonda anche sulle potenzialità professionali del richiedente. Chi ha competenze, titoli di studio o esperienze deve dimostrare di averle messe a frutto nella ricerca attiva di lavoro. L’assenza di prove concrete, come la partecipazione a concorsi o colloqui, può compromettere il riconoscimento del contributo.
L’assegno divorzile ha una funzione assistenziale, ma non deve tradursi in una rendita permanente senza giustificazioni. La Corte ha sottolineato come la solidarietà post-coniugale non possa prescindere dal principio di autodeterminazione. In altre parole, l’ex coniuge deve fare la propria parte per mantenersi, evitando di scaricare sull’altro gli effetti della fine del matrimonio.
I casi in cui l’incapacità economica è incolpevole
Secondo la giurisprudenza, l’incapacità di procurarsi un reddito può essere ritenuta incolpevole solo in situazioni specifiche. Queste includono un’età avanzata, gravi malattie invalidanti o la mancanza di formazione in un contesto socio-economico particolarmente sfavorevole. Nessuna di queste condizioni era presente nel caso di Marta, che risultava ancora in età lavorativa e con un titolo universitario.
La decisione della Cassazione conferma un orientamento volto a responsabilizzare gli ex coniugi economicamente più deboli. Il messaggio è chiaro: l’assegno divorzile non può essere uno strumento di mantenimento passivo, ma va riconosciuto solo in presenza di oggettive difficoltà non superabili. Chi ha le capacità e le risorse per lavorare è tenuto a farlo, nel rispetto del principio di equità e autonomia personale.