Matteo Salvini - (cataniaoggi.it-social)

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Matteo Salvini rimette la Lega al centro della partita per la presidenza della Regione Siciliana. Una mossa che, per molti osservatori, va oltre la semplice dialettica interna al centrodestra: le parole del ministro rivelano infatti un gioco più ampio, che riguarda i rapporti di forza nazionali e l’equilibrio tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia.

Il passaggio che ha acceso il dibattito è stato netto: «In Lombardia accoglieremo con favore un candidato di FdI, se all’altezza. E in Sicilia qualche suggerimento da dare lo avremo». Una dichiarazione sufficiente a far scattare immediatamente il toto-nomi: tra i favoriti, la senatrice Valeria Sudano, moglie del leader leghista siciliano Luca Sammartino.

Dietro l’uscita di Salvini, però, c’è molto di più. Alla base ci sarebbe un accordo siglato a Roma prima delle elezioni in Veneto: Fratelli d’Italia punta a confermare la Lombardia, oggi guidata dal leghista Attilio Fontana, mentre in cambio la Lega vorrebbe la Sicilia in caso di vittoria del centrodestra. Per Salvini, insomma, strappare la Lombardia avrebbe senso solo se venisse garantita la possibilità di esprimere un governatore del Sud. Da qui l’ipotesi – ancora non confermata – di un ruolo per Nello Musumeci nel dopo-Schifani.

Una ricostruzione subito raffreddata dal commissario regionale di FdI, Luca Sbardella, che ha ricordato come «la scelta del candidato alla Regione sarà presa a Roma, a tempo debito» e ha invitato a concentrarsi sulla Finanziaria. Ma, a scanso di equivoci, ha anche lanciato un messaggio rilevante all’interno della coalizione: «Siamo indietro nella guida delle Regioni. È legittimo chiedere un riequilibrio». Parole che pesano, e che confermano come il dossier Sicilia sia tutt’altro che definito.

Sul fronte di Forza Italia, invece, il messaggio è stato immediatamente difensivo. Da Roma Maurizio Gasparri ha ribadito la centralità del partito nell’Isola: «Ogni suggerimento degli alleati è utile, ma si parte da un presupposto: Forza Italia guida e continuerà a guidare la Regione». A Palermo, il coordinatore regionale Marcello Caruso ha respinto al mittente qualsiasi ipotesi di scosse di assestamento: «Forza Italia non ha bisogno di consigli non richiesti. I risultati di Schifani parlano da soli».

Ma lo scontro non si gioca soltanto in Sicilia. La dialettica interna al centrodestra trova infatti il suo epicentro anche in Veneto, dove il confronto tra Salvini e Luca Zaia – forte delle oltre 200 mila preferenze alle Europee – ridisegna gli equilibri del Carroccio. Zaia non esclude la possibilità di correre per la guida del Comune di Venezia, un’opzione che potrebbe aprire un nuovo scenario politico nei rapporti tra Regione e governo nazionale. Il presidente veneto, ricevuto nei giorni scorsi al Quirinale, rivendica autonomia ma mantiene un dialogo costante con il suo partito.

Salvini, dal canto suo, difende il ruolo della Lega come pilastro del centrodestra settentrionale: «La vittoria in Veneto è un investimento sul futuro». Per il leader del Carroccio, il nodo vero non è soltanto la candidatura alle Regionali, ma la ridefinizione dei pesi politici tra i partiti della coalizione.

In questo clima già teso, la presenza di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi introduce un elemento ulteriore: Fratelli d’Italia osserva con estrema attenzione i movimenti in Veneto, Lombardia, Puglia e naturalmente Sicilia, consapevole che un errore nella gestione delle candidature potrebbe indebolire l’intera coalizione.

Il centrosinistra guarda a queste tensioni con interesse: Pd e Movimento 5 Stelle vedono nelle frizioni del centrodestra un’occasione da cogliere. Le regioni chiave – Veneto, Lombardia, Puglia, Sicilia – possono diventare decisivi laboratori politici per tentare un’alternativa.

Il quadro resta fluido. Salvini ha bisogno di consolidare la posizione della Lega nella geografia nazionale del potere, mentre Meloni mira a governare il centrodestra senza rotture. E intanto un elettorato sempre più esigente osserva, valuta e attende risposte credibili.

La verità è che nessuna delle forze in campo può permettersi di sbagliare. Ogni dichiarazione pesa come una mossa su una scacchiera complessa, destinata a influenzare non solo le Regionali del 2026, ma l’intero schema politico italiano dei prossimi anni. In Sicilia, come altrove, la partita è appena iniziata.