Regione siciliana (cataniaoggi.it-facebook)

Regione siciliana (cataniaoggi.it-facebook)

Un commento che esplora le dinamiche di potere in Sicilia alla luce delle riflessioni del politologo Gianfranco Pasquino.

Un’intervista pubblicata da la Repubblica non descrive soltanto un’indagine giudiziaria, ma porta alla luce un modello che in Sicilia opera da decenni. Secondo il politologo Gianfranco Pasquino, intervenuto alla Notte Bianca della Politica di Ragusa, nell’Isola «non è esploso un caso giudiziario, ma un sistema di potere che funziona così da anni». Un giudizio netto, che travalica la vicenda giudiziaria legata all’ex governatore Totò Cuffaro e tocca una struttura profonda, trasversale alle stagioni politiche.

Pasquino individua un meccanismo in cui presidenti di Regione, in Sicilia come altrove, hanno costruito reti di intermediazione e consenso capaci di alimentare aree grigie, dove attecchiscono pratiche opache. La Sicilia, in questo quadro, diventa un osservatorio privilegiato: ciò che altrove resta sommerso, qui affiora con maggior evidenza. Le parole del ministro Nello Musumeci, oggi al governo nazionale, confermano la lettura: «La Regione Sicilia è fondata sul clientelismo». Una frase che pone una domanda inevitabile: se il problema era noto, perché non è stato risolto quando se ne aveva il potere?

La risposta, osserva Pasquino, «sta nei vantaggi elettorali» garantiti da tali sistemi. Ed è proprio questa dinamica che spiega perché una parte consistente dell’elettorato continui a premiare aree politiche coinvolte in scandali del passato. Da un lato, la forza delle reti di favori; dall’altro, la difficoltà dell’opposizione di apparire realmente credibile. È la logica, nota e amara, del «meglio il diavolo che conosci».

Di fronte alla posizione del presidente Renato Schifani, Pasquino invita a distinguere. Prima ancora delle dimissioni chieste dall’opposizione, la priorità dovrebbe essere rimuovere chi, all’interno dell’area di governo, risulta coinvolto in modo rilevante nelle indagini. Le valutazioni politiche successive dipenderanno dalla capacità del governatore di recuperare autorevolezza in un momento che richiede trasparenza e responsabilità.

Ma il dato più inquietante è un altro: 56 mila giovani laureati hanno lasciato la Sicilia negli ultimi dieci anni. Non solo per ragioni economiche, ma perché non vedono riconosciuto il proprio valore. Una fuga silenziosa che racconta la crisi del merito e priva l’Isola delle sue energie migliori.

Eppure, in un contesto segnato da un’economia che alterna prudenza e segnali di rilancio, qualcosa si muove. Il DEFR evidenzia comparti dinamici, come le costruzioni, accanto a consumi stagnanti. Senza dimenticare i settori storicamente paralizzati, come la gestione dei rifiuti, la Regione ha avviato un percorso che rompe l’inerzia del passato. L’introduzione dei termovalorizzatori non è solo una risposta infrastrutturale: rappresenta un argine agli interessi criminali e una prospettiva di modernizzazione.

Sul fronte giovanile, le misure per trattenere competenze, incentivare imprese innovative e rafforzare la formazione segnano un primo tentativo di invertire la rotta. Non sono sufficienti, ma indicano un movimento che potrebbe dare risultati se sostenuto nel tempo. La Sicilia resta una terra segnata da contraddizioni profonde: da un lato vecchi meccanismi di potere che resistono, dall’altro l’avvio di processi che potrebbero cambiare il volto dell’Isola. La sfida è enorme, ma ogni volta che un ingranaggio del passato si incrina, ogni volta che un giovane sceglie di restare, la Sicilia dimostra di poter costruire un futuro diverso, più libero e più giusto.