CONFERMA CASSAZIONE: da luglio aumento in busta paga per tutti i lavoratori, arriva la sentenza | Non ti stanno pagando queste ore

lavoro (pexels) - cataniaoggi

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Non tutti i minuti della tua giornata lavorativa sono pagati… ma forse dovrebbero esserlo.

Chiunque lavori sa bene che il tempo non è mai abbastanza. Ma ciò che spesso non si sa è che parte di quel tempo, pur essendo legato al lavoro, non viene conteggiato e quindi nemmeno retribuito. Parliamo di un aspetto spesso sottovalutato ma centrale nella vita quotidiana di tantissimi dipendenti: il tempo di viaggio.

Tecnici, manutentori, installatori, trasfertisti. Tutte figure operative che, ogni giorno, si spostano tra la sede aziendale e i luoghi d’intervento. Ma le ore passate in auto, anche se con la vettura dell’azienda, vengono regolarmente ignorate in busta paga. È giusto così? La risposta, almeno fino a poco tempo fa, era ambigua.

Molte aziende, anche sulla base di accordi sindacali interni, si sono difese stabilendo soglie minime da superare per poter contare le ore di spostamento come orario lavorativo. Ad esempio: meno di 30 minuti di viaggio non si pagano. Un compromesso, dicono i datori. Un’ingiustizia, ribattono i lavoratori.

Ma oggi qualcosa è cambiato. Una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione ha chiarito – nero su bianco – che questo tempo va considerato a tutti gli effetti tempo lavorativo. E quindi dev’essere retribuito. Niente più soglie minime, né distinzioni arbitrarie. È un principio che si applica a tutte le professioni in cui lo spostamento è parte integrante dell’attività lavorativa.

Cassazione: cosa ha stabilito davvero?

La pronuncia decisiva è arrivata con la sentenza n. 16674/2024, che ha visto protagonisti alcuni tecnici specializzati, impiegati da una grande azienda, che si erano rivolti alla magistratura per ottenere il pagamento delle ore di viaggio. Secondo il loro contratto interno, solo i tempi superiori a 30 minuti venivano riconosciuti. Il resto era, per così dire, “tempo perso”.

La Cassazione, ribaltando l’impostazione precedente, ha dichiarato nulle tutte le clausole aziendali o sindacali che fissano tetti o franchigie. Se il lavoratore è sotto il controllo del datore – ad esempio per prendere l’auto aziendale, seguire ordini specifici, rispettare itinerari predefiniti – allora sta lavorando. Punto. Ed è dovere dell’azienda retribuire anche quel tempo, al pari delle ore in ufficio o in cantiere.

soldi (radiokisskiss) - cataniaoggi
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Diritti, regole e busta paga: cosa succede ora

Il principio richiamato è semplice: il lavoratore dev’essere retribuito per ogni momento in cui è a disposizione del datore. Questo include anche gli spostamenti, se rientrano nella normale attività. E se l’azienda non paga, il dipendente può fare ricorso al giudice del lavoro e ottenere un risarcimento. Non serve più dimostrare la “necessarietà” del viaggio: basta che lo spostamento sia funzionale al lavoro.

Malintesi ed equivoci non sono mai un buon ingrediente per una proficua prosecuzione del rapporto di lavoro. Il dipendente ha ovviamente diritto a essere retribuito così come previsto nel suo contratto individuale, ma al contempo può essere destinatario di ulteriori compensi non legati direttamente a una mansione. È il caso, appunto, del tempo di viaggio. Con la sentenza n. 16674/2024, la Cassazione ha chiarito che questo tempo – se funzionale alla prestazione – va pagato. Ignorarlo significa violare la legge. E se l’azienda continua a farlo, il lavoratore ha tutti gli strumenti per far valere i suoi diritti. Anche in tribunale.