Paternò, tra ferite antiche e futuro da costruire: la città che attende un patto di rinascita

Paternò ( Foto Archivio)

C’è una storia che pesa, quando a Palazzo Alessi si discute di sicurezza. Una storia che parte dagli “anni di piombo”, quando Paternò veniva indicata nei rapporti investigativi come vertice del tristemente famoso “triangolo della morte”: l’area etnea in cui la mafia aveva preso il sopravvento, imponendo sangue e silenzi. Quelle ferite non si sono mai rimarginate del tutto; convivono con le bellezze di un centro che potrebbe offrire molto: dall’acropoli normanna alle chiese barocche, fino a un tessuto agricolo e commerciale che attende solo di essere rilanciato. È con questo carico di passato che il Consiglio comunale straordinario (il terzo in poco più di un anno) si è trasformato in un duro confronto tra maggioranza e opposizione. Da un lato il sindaco Nino Naso; dall’altro il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno e il deputato nazionale Francesco Ciancitto, chiamati in causa dallo stesso primo cittadino con un video social dai toni pesanti. Presente anche il comandante della Compagnia carabinieri, il capitano Marco Savo, e un pubblico numeroso in cerca di risposte.

Naso ha scelto toni più concilianti rispetto alle invettive sociali: «Non cerchiamo colpevoli, vogliamo affrontare i problemi insieme. La sicurezza non è questione di colori politici, ma di responsabilità collettiva». Ha ricordato l’ordinanza di sgombero emessa oltre un anno fa per Ciappe Bianche, l’insediamento di giovani nordafricani in condizioni di degrado. Ma quello sgombero non è mai stato attuato e il campo esiste da quindici anni, simbolo di promesse rimaste sulla carta. Parole giudicate «deludenti e lontane dalla realtà» dall’opposizione. Il capogruppo di FdI Alfio Virgolini ha attaccato la giunta; Ciancitto ha chiesto «ordinanze immediate» – come il divieto di vendita al dettaglio di alcol – e Galvagno ha rivendicato il proprio impegno, definendosi “l’ottavo assessore” dell’esecutivo Naso. La scena sarebbe quasi ordinaria, se non fosse che Paternò può contare – sulla carta – anche su figure istituzionali di primissimo piano: un presidente del Senato originario della città, Ignazio La Russa. Eppure non si è ancora trovato un terreno di dialogo stabile con la cittadinanza.

Quanto accaduto in aula dimostra che il tema sicurezza è solo la punta dell’iceberg. Ci sono cantieri fermi, un centro storico che potrebbe essere motore turistico, campagne cariche di eccellenze agroalimentari non valorizzate. Senza contare che le strade ormai ridotte a “terzo mondo” e un centro storico un tempo cuore pulsante del commercio si stanno progressivamente svuotando. Serve un tavolo permanente, Comune, Regione, Governo nazionale, forze dell’ordine, associazioni, mondo produttivo. Perché Paternò resta una città meravigliosa, adagiata sulle pendici dell’Etna, con un patrimonio umano e artistico invidiabile. Ma la politica “tutta, senza bandiere” dovrebbe abbandonare la logica dei video polemici e tornare a condividere soluzioni concrete. La stessa città che un tempo fu “triangolo della morte” può diventare laboratorio di rinascita: basterebbe che chi ha l’onore di rappresentarla si sieda allo stesso tavolo, non per dividersi i meriti, ma per restituire speranza a chi la abita.