Appalti truccati: la Procura di Agrigento rilancia l’importanza delle intercettazioni
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Il gip del Tribunale di Agrigento ha disposto nei giorni scorsi la misura cautelare degli arresti domiciliari per l’architetto Sebastiano Alesci, 67 anni, ex dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Licata. Alesci è uno dei cinque indagati finiti al centro dell’inchiesta su un presunto sistema di tangenti e appalti pilotati in provincia, un filone di indagine coordinato dalla Procura di Agrigento e avviato ormai da circa un anno. Tra gli indagati, una dozzina in tutto, c’è anche il deputato regionale Roberto Di Mauro, fino a un mese fa assessore all’Energia. L’arresto, richiesto dal procuratore capo Giovanni Di Leo, segue la precedente scarcerazione disposta dalla Procura di Gela, ritenuta competente sul territorio di Butera, dove Alesci era stato fermato il 14 maggio. La decisione del gip si fonda su gravi indizi di colpevolezza che confermano il ruolo centrale dell’architetto nell’associazione a delinquere ipotizzata dagli inquirenti. A supporto delle accuse, le intercettazioni telefoniche e ambientali, i flussi bancari verso conti sospetti e le testimonianze di imprenditori coinvolti. Il complesso di appalti sotto esame supera i 37 milioni di euro e comprende la riqualificazione dello stadio “Dino Liotta” di Licata, oltre al primo stralcio dei lavori per l’automazione della rete idrica di Agrigento, con stazione appaltante AICA.
In una nota ufficiale, il procuratore Di Leo ha sottolineato la complessità dell’indagine, ricordando che «non è pensabile che il corrotto o il corruttore si presenti spontaneamente a denunciare i fatti che lo vedono coinvolto». Per questa ragione, secondo il capo della Procura, «gli attuali controlli amministrativi, già in parte depotenziati, non appaiono sufficienti a garantire trasparenza e prevenire sprechi o ruberie». Di Leo ha quindi difeso l’uso delle intercettazioni come strumento imprescindibile per l’accertamento dei reati di corruzione: «Le intercettazioni restano uno strumento indispensabile nei reati a concorso necessario, dove la natura segreta dell’accordo corruttivo rende improbabile qualsiasi forma di collaborazione spontanea da parte degli indagati». Un altro punto chiave del comunicato riguarda l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, definito dalla Procura «reato-spia» nelle indagini più complesse. La modifica normativa, entrata in vigore negli ultimi mesi, ha ridotto gli strumenti a disposizione degli inquirenti, rendendo più gravosa l’attività di repressione dei fenomeni corruttivi. «Finché il reato di corruzione resta nel codice penale, non si può parlare di impunità», avverte Di Leo, ribadendo l’obbligo costituzionale della magistratura di indagare in modo autonomo e indipendente, nel rispetto dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Gli investigatori hanno ricostruito un meccanismo che, a giudizio della Procura, ha «inquinato e deviato» l’iter di numerose procedure di gara. Particolarmente emblematico è il caso del Centro Comunale di Raccolta dei rifiuti di Ravanusa, progettato nel 2013 e modificato più volte negli anni successivi, con una gara bandita in urgenza nel 2022 e tempi di presentazione delle offerte ridotti a 18 giorni lavorativi. Analoga criticità emerge per la rete idrica di Agrigento: finanziata interamente nel 2015, dopo otto anni ha visto consegnare alla ditta aggiudicataria solo un escavatore e pochi operai, a fronte di un primo stralcio ancora in gran parte inattuato.
Di Leo ha poi risposto alle accuse secondo cui le indagini rallenterebbero i lavori pubblici, puntualizzando che ritardi e inefficienze risalgono a dinamiche amministrative pregresse e non all’attività giudiziaria. L’obiettivo, assicura la Procura, è garantire un’azione penale «rapida ma rigorosa», capace di tutelare la collettività senza compromettere l’efficienza delle opere. A margine del comunicato, il procuratore ha lanciato un appello alla cittadinanza: «Chi sa, chi ha visto, chi ha taciuto, parli. Almeno in nome di quella cultura di cui Agrigento si fregia come Capitale italiana della Cultura 2025, dovrebbe entrare anche un rinnovato senso civico». In un territorio segnato da disservizi e criticità infrastrutturali, la Procura rivendica il ruolo del diritto come strumento di riscatto sociale, auspicando che la collaborazione dei testimoni possa portare a ulteriori sviluppi di un’inchiesta che, secondo gli stessi inquirenti, è solo all’inizio.
Per comprendere meglio, entrando nello specifico: la legge legge Zanettin è entrata in vigore il 24 aprile 2025, dopo il consueto periodo di vacatio legis. Il provvedimento, ad iniziativa del senatore Pierantonio Zanettin (Forza Italia), è stato approvato con voto definitivo in Aula al Senato lo scorso 9 ottobre 2024 e successivamente confermato dalla Camera nella seduta del 19 marzo 2025. L’unico articolo della norma stabilisce che “le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni”, salvo che «l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, oggetto di espressa motivazione». In tal caso, la proroga può essere concessa per successive tranche di 15 giorni, ma deve essere accompagnata da una dettagliata relazione sul carattere emergenziale degli sviluppi investigativi.
Il percorso legislativo si è svolto in tempi rapidi, con l’iter in consultiva e in Aula che ha visto audizioni informali di esponenti delle magistrature e delle forze di polizia. In sede di voto finale, le forze di maggioranza (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) hanno sostenuto il provvedimento, mentre Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi–Sinistra ne hanno contestato la rigidità, chiedendo emendamenti per aumentare i termini massimi. Le reazioni da parte delle associazioni forensi e degli operatori giudiziari hanno evidenziato un acceso dibattito sul bilanciamento tra esigenze investigative e garanzie della privacy. Da un lato, il legislatore ha voluto porre un freno ai “tempi lunghi” delle intercettazioni eccessivamente dilatate; dall’altro, molti magistrati hanno sottolineato come per indagini complesse “ad esempio sui reati di criminalità organizzata” il limite dei 45 giorni possa risultare insufficiente senza una corretta motivazione delle proroghe.Con la legge Zanettin si inaugura dunque una nuova stagione normativa che fissa un tetto temporale alle intercettazioni, rimettendo al Pubblico Ministero e al giudice la valutazione puntuale di ogni proroga. Sarà ora compito delle Corti e degli operatori sul campo definire le modalità applicative, affinché il principio di efficacia investigativa conviva con il rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione.