Da Tardino a Mulè: tensioni e ambizioni che scuotono la politica siciliana
La vicenda che nelle ultime settimane ha agitato la politica siciliana intreccia retroscena personali, scelte di governo e tensioni istituzionali che vanno oltre il singolo nome e rivelano una fragilità organizzativa nel campo del centrodestra regionale. Tutto ha preso slancio con la nomina dell’avv. Annalisa Tardino a commissario straordinario dell’Autorità di sistema portuale della Sicilia occidentale, decreto firmato dal Ministero delle Infrastrutture: la reazione del presidente della Regione Renato Schifani, che ha presentato ricorso al TAR (atto depositato il 21 agosto), ha trasformato una scelta tecnica in una contesa politica e giudiziaria. Sul piano processuale, va ricordato che il TAR si è limitato a fissare l’udienza collegiale per la trattazione della domanda cautelare, calendarizzata per il 9 settembre; non risulta al momento alcuna sospensiva operativa e l’Autorità continua a svolgere le proprie funzioni.
Ma la storia non nasce lì: il terreno è fertile di tensioni preesistenti. Nel 2022 Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera e figura di primo piano di Forza Italia, fu a un passo dalla candidatura alla presidenza della Regione siciliana. L’accordo politico sembrava definito dopo i contatti con i vertici nazionali; tutto però saltò per un intoppo amministrativo: il mancato trasferimento della residenza entro il termine previsto dalla legge elettorale, fatto che impedì la formalizzazione della candidatura.
Oggi Mulè mantiene un profilo nazionale e conserva margini di ambizione anche sul piano regionale; nello stesso tempo ha sollevato critiche verso l’operato del governatore Schifani, contestando, tra l’altro, la scelta di impugnare davanti al TAR la nomina della Tardino: “Non si porta un alleato davanti a un giudice per una questione politica, per una nomina che spetta al ministero dei Trasporti e su cui la regione non ha parere vincolante”, dice Mulè.
La disputa rivela un problema più generale: dopo l’era Cuffaro, i rapporti tra i vertici regionali e i gruppi di maggioranza si sono spesso mostrati lacerati, con una scarsa cultura del confronto interno. Il risultato è stata una progressiva frammentazione della classe politica isolana, con rivalità che finiscono per riverberarsi sulle scelte amministrative e sulle nomine strategiche.
Ritornando alla vicenda Tardino, essa potrebbe avere ripercussioni sul calendario politico isolano. Le regionali, previste tra circa due anni, rischiano di vedere un’accelerazione del dibattito pubblico: la risonanza della querelle e le tensioni all’interno della maggioranza potrebbero spingere i protagonisti a chiarire subito posizioni e leadership, per non arrivare impreparati alla campagna elettorale. Secondo alcuni osservatori, il confronto sulle nomine e sulle procedure sta già inducendo i partiti a muoversi in anticipo, alla ricerca di candidati “pronti” e dotati di un consenso interno solido.
Quanto è accaduto nelle ultime settimane mette in luce la necessità di una pratica politica rinnovata: maggiore capacità di dialogo all’interno della maggioranza, procedure organizzative solide che evitino errori amministrativi e una netta separazione tra logiche di partito e scelte tecniche sugli enti strategici. Se la politica saprà rispondere con metodo, potrà trasformare tensioni e ambizioni in un progetto coerente per la Sicilia; diversamente il rischio è che il confronto anticipi e irrigidisca le scelte in vista delle regionali, rallentando progetti e compromettendo l’efficacia delle istituzioni, un esito che, negli ultimi anni, non ha giovato alla nostra terra. Però è anche vero, come osservava Andrea Camilleri: «La Sicilia ha subito tredici dominazioni straniere, dalle quali ha preso il meglio e il peggio; questa sequenza di culture diverse l’ha resa un luogo affascinante e unico.»