Paolo Borsellino

*Traditi. Le mie verità sui misteri di Palermo e sulla magistratura* (Piemme) non è un semplice memoir: è il j’accuse di Antonio Ingroia, ex pm palermitano, raccolto da Massimo Giletti in un serrato dialogo. «Un racconto appassionato, drammatico e autentico» lo definisce il giornalista, perché mostra come la lotta alla mafia sia una saga di eroismi e, soprattutto, di tradimenti: Falcone, Borsellino, lo stesso Ingroia sono stati colpiti alle spalle da avversari dichiarati e da “amici” interni allo Stato. Il libro ripercorre tre vite in una: il giovane magistrato antimafia plasmato da Falcone e Borsellino; il candidato politico «di sinistra tradito dalla sinistra» durante l’avventurosa campagna di Rivoluzione civile; l’avvocato di oggi, testimone di una giustizia in affanno che sembra aver dimenticato la lezione dei suoi maestri. Il filo conduttore è la sensazione di essere stato abbandonato da quell’«arco costituzionale della legalità» in cui credeva.

Il capitolo più esplosivo riguarda le ventiquattr’ore successive alla strage di via D’Amelio. Ingroia, allora sostituto procuratore, viene convocato in via riservata dal nuovo capo della procura di Caltanissetta, Giovanni Tinebra: «Tu eri il pupillo di Paolo, potresti avere informazioni utili», gli dice. Il giovane pm rivela che Borsellino ha appena verbalizzato le accuse del pentito Gaspare Mutolo contro Bruno Contrada, storico superpoliziotto collegato ai servizi. Racconta anche lo choc del giudice quando, convocato al Viminale, fu lasciato ad attendere in una stanza dove s’intratteneva proprio Contrada: «La saluti da parte mia…». Secondo Ingroia, Tinebra non solo ignora la confidenza, ma nello stesso pomeriggio affida a Contrada le prime indagini sulla strage. È il paradigma del “fuoco amico” che, a suo dire, avvelenò quelle inchieste: lo stesso Borsellino confessò ai colleghi di Marsala Alessandra Camassa e Massimo Russo di sentirsi tradito da «un amico». Ingroia oggi è convinto che il regista delle trame fosse l’allora un procuratore di Palermo, ritenuto vicino alla malapolitica di Vito Lima.

Le pagine dedicano ampio spazio anche al rapporto “mafia-appalti”, dossier che Falcone considerava decisivo. Un estratto arrivò a Borsellino a Marsala grazie al capitano Mario De Donno, braccio destro del colonnello Mori: «A Palermo vogliono insabbiare l’inchiesta, ci servono mani pulite fuori dal cerchio magico». Borsellino, per avere conferme, chiese a Ingroia di organizzargli un incontro segreto con Roberto Scarpinato, magistrato percepito come indipendente. Di quell’appuntamento non resta traccia ufficiale, ma l’ex pm è convinto che si tenne. Dopo le stragi, altri tradimenti segnano la carriera di Ingroia: l’uscita forzata dalla magistratura quando alcune intercettazioni lambiscono il Quirinale di Giorgio Napolitano, l’ostracismo politico che stronca la sua breve esperienza elettorale, le storture che incontra da avvocato fra carenze d’organico, processi eterni e sentenze contraddittorie.

Tre decenni dopo, conclude Ingroia, la verità su via D’Amelio e sul biennio delle stragi è ancora coperta da ombre prodotte dentro le istituzioni. *Traditi* è un’esortazione a non rassegnarsi: conoscere quei retroscena significa difendere la memoria di Falcone e Borsellino e capire come raddrizzare una giustizia che rischia di smarrire, ancora una volta, la propria bussola etica.