Sulla minaccia tramite TikTok al futuro dell’Isola: la legalità quotidiana come prima frontiera antimafia
Enrico Trantino
Una minaccia tramite i social può sembrare poca cosa rispetto ai carichi di tritolo dell’estate ’92. Eppure l’episodio esploso su TikTok nei giorni scorsi, con un automobilista che insulta il sindaco di Catania Enrico Trantino e lo avverte: «La prima volta che ti vedo ti apro la testa con colpi di casco, non ho paura né dei carabinieri, né della polizia…», racconta molto di come la cultura dell’illegalità sappia infiltrarsi nelle pieghe più comuni della vita di città. Tutto nasce dalle ganasce applicate a un’auto in sosta irregolare in via Santa Sofia, ingresso nevralgico del Policlinico. Da una sanzione amministrativa si passa – in un lampo social – a un linguaggio di violenza che rinnega ogni logica civile. Il video, ora sequestrato dopo la denuncia alla Polizia postale, mostra l’uomo mentre riprende la vettura bloccata e si lascia andare a insulti ripetuti contro il primo cittadino, seguiti da minacce esplicite: «Ti ammazzo di botte… la prima volta che ti vedo ti spacco la testa con colpi di casco…». Non manca lo sprezzo per le forze dell’ordine: «Non ho paura né dei carabinieri né della polizia». Prima che venisse rimosso, il filmato era già stato condiviso da circa un migliaio di utenti, prova di quanto velocemente possano diffondersi messaggi d’odio e di emulazione sulla rete.
Trantino, costretto a far rimuovere il video, ha annunciato querela alla Polizia postale, chiarendo che «la situazione è notevolmente migliorata da quando abbiamo iniziato quest’azione di contrasto. Quel che mi ha dato da pensare è il rischio di circuiti emulativi e il fatto che spesso contenuti simili giungono ai miei familiari, con comprensibili preoccupazioni che conseguono». Le indagini sono già partite, mentre da politica, sindacati, società civile e Amts arriva una solidarietà trasversale che non si vedeva da tempo.
L’episodio mette in luce un nodo antico: la lotta alla mafia non si esaurisce nelle aule giudiziarie, ma comincia dal rispetto delle regole elementari. Cosa nostra ha prosperato per decenni su una mentalità di “eccezione” permanente, sull’idea che la norma valga per gli altri. Ogni parcheggio selvaggio tollerato, ogni insulto impunito, ogni “favore” chiesto al posto di un diritto scava lo spazio sociale in cui i clan si insediano. È la stessa lezione che Paolo Borsellino ripeteva agli studenti: legalità come pratica quotidiana, non come slogan anniversario. Non a caso la Sicilia di oggi, che pretende un turismo di qualità e investimenti internazionali, sente il bisogno di difendere la propria bellezza con la stessa determinazione con cui tutela il proprio onore. Dalle spiagge di sabbia dorata ai paesaggi lavici dell’Etna, nulla può resistere a lungo se è assediato da prepotenze piccole e grandi. Reagire a un video di minacce, far valere una multa, garantire controlli costanti non sono pedanterie burocratiche: sono vaccini antimafia, anticorpi civici.
Oggi più che mai, dunque, l’Isola “felicissima” cantata dagli storici ha bisogno di cittadini che capiscano l’equazione semplice: ogni metro di strada restituito alla legalità è un metro sottratto al ricatto, alla violenza, al degrado. E, come ricorda l’onda di solidarietà attorno a Trantino, la comunità siciliana sa ancora fare muro quando la regola condivisa viene calpestata. In quella difesa corale – fatta di multe rispettate, di parole misurate, di istituzioni che non si piegano – c’è la chiave per trasformare la Sicilia in un laboratorio di convivenza, capace di unire la sua straordinaria bellezza naturale a una reputazione di correttezza che, un giorno, possa fare dimenticare il suono sinistro del tritolo.