Il riconoscimento di Palermo nella classifica AllClear come uno degli scali dal maggiore impatto scenografico al mondo ha acceso una discussione più ampia: trasformare l’effetto visivo dell’approdo in un’opportunità reale per il turismo richiede strategie, servizi e una visione d’insieme che vada oltre il colpo d’occhio. Palermo lo ha fatto, o perlomeno ha saputo avviare un discorso di valorizzazione del waterfront che ha convogliato risorse, promozione e produttori locali in un’offerta organica. Ma cosa succede negli altri grandi porti siciliani, e in particolare a Catania?
A Catania si osserva una situazione dalle potenzialità enormi: il porto si affaccia su uno scenario unico, dove il mare incontra la maestosità dell’Etna, presenza paesaggistica e simbolica che dà al capoluogo etneo un’identità difficilmente replicabile altrove. Per molti osservatori proprio questa combinazione “costa viva più vulcano” farebbe di Catania il “porto più bello” dell’isola, se giudicato per l’impatto complessivo sul visitatore. A questo si aggiunge la vocazione di Catania come nodo di trasporto: l’aeroporto di Fontanarossa è a breve distanza dal porto, condizione che favorisce collegamenti rapidi e integrazione tra arrivo aereo e sbarco marittimo, un vantaggio competitivo che pochi altri scali siciliani possono rivendicare. Catania gode inoltre della vicinanza di mete turistiche di richiamo internazionale: Taormina, con il suo straordinario flusso di visitatori e la reputazione consolidata, è un volano naturale per l’area orientale; le escursioni sull’Etna e i percorsi dell’enogastronomia completano il ventaglio di esperienze che si possono offrire a chi arriva via mare. Eppure, ed è qui il punto, a Catania non si è mai costruito un piano di rilancio del porto con la stessa determinazione e capacità di sistema che si è vista a Palermo. Mancano, in molte fasi, una regia strategica di marketing territoriale, servizi di accoglienza pensati per il crocierista e percorsi esperienziali che mettano insieme il meglio del territorio in un’offerta coordinata.
Palermo, invece, è riuscita a capitalizzare il pregio scenografico e a far confluire “il meglio” in un unico racconto: dalle eccellenze enogastronomiche ai dolci tipici, dalla musica alla promozione del patrimonio culturale, l’approdo è stato trasformato in un punto di partenza per scoprire l’isola. Questo non solo ha favorito il posizionamento internazionale “con il podio nel report AllClear come vetrina” ma ha anche creato opportunità concrete per le imprese locali. Il rischio, per Catania e per Messina, è che restino solo potenzialità non sfruttate. Messina, tradizionalmente porto di transito e con una vocazione più commerciale, possiede invece margini per sviluppare il turismo di passaggio e legare l’offerta locale a esperienze enogastronomiche e naturalistiche. Anche qui servono investimenti mirati, digitalizzazione dei servizi portuali, collegamenti efficaci con i centri urbani e sinergie con il tessuto produttivo.
Per la Sicilia la sfida è dunque duplice: da una parte consolidare i risultati già raggiunti da Palermo, rendendo sostenibile e duraturo il ritorno economico e sociale; dall’altra, mettere in campo progetti integrati per Catania e Messina che traducano in servizi concreti i vantaggi naturali e logistici che questi porti già offrono. Parliamo di dragaggi e banchine adeguate, di terminal crociere attrezzati, di navette rapide porto-aeroporto, di punti informativi multilingue, di pacchetti turistici costruiti insieme a operatori e produttori locali.
In definitiva, il “porto più bello” non è soltanto quello che colpisce per primo lo sguardo: è quello che sa trasformare emozione in esperienza, accoglienza e ritorno economico. Palermo ha mostrato la strada; tocca ora a Catania — con la forza dell’Etna alle spalle e Taormina a due passi — raccogliere la sfida e farsi interprete di un’offerta che connetta mare, terra e cultura in un progetto comune per l’intera isola.