Finanziaria siciliana, via libera nella notte tra tensioni e fratture politiche

La Finanziaria regionale è stata approvata nella notte, al termine di una seduta estenuante e segnata da tensioni politiche altissime. A Sala d’Ercole, alla fine dei lavori, nessuno ha avuto davvero la sensazione di aver vinto. Una maggioranza profondamente segnata, forse nel momento di maggiore esposizione dall’inizio della legislatura. Tra risorse per i precari, fondi ai Comuni e norme ritenute centrali dall’Esecutivo, si sono fatti largo sospetti, rivendicazioni e fratture interne. L’opposizione di Pd e M5S ha messo da parte alcune rigidità ideologiche per infilarsi nelle crepe del centrodestra, mentre il Governo ha incassato i risultati considerati prioritari, consapevole però di muoversi su un terreno politico instabile. Intanto, sui social scorrono le immagini dei parlamentari accanto allo stesso Galvagno. Fotografie di una normalità apparente. Ma sotto la superficie, la Finanziaria lascia un’eredità pesante: una maggioranza che regge nei numeri, ma non più nella fiducia. E una legislatura che appare tutta in salita.

Lungo il messaggio inviato da Galvagno ai deputati della maggioranza, diventato il racconto più fedele della notte dell’Ars. «Un clima che definisco quasi di odio», scrive il presidente, denunciando una mancanza di fiducia interna. «Questa Finanziaria mi è arrivata con 134 articoli non condivisi minimamente con me». E ancora: «Mi è stato chiesto di salvare articoli messi in cassaforte. Gli unici articoli bocciati riguardano due assessorati di Fratelli d’Italia. Il presidente Daidone è stato quasi violentato in Commissione Bilancio per la bulimia di alcuni».  Poco dopo, in Aula, Galvagno ha chiarito: «Il mio era un richiamo alla responsabilità. Quando parlo di “bocca asciutta” penso a norme importanti per i siciliani stralciate o rinviate. Molti colleghi sono rimasti delusi». Il dibattito non si è fermato con il voto. Ismaele La Vardera ha annunciato un esposto in Procura: «Galvagno mette nero su bianco una spartizione nascosta nelle tabelle. Parliamo di soldi pubblici». Di segno opposto la replica dell’Mpa, secondo cui «un confronto anche aspro rientra nella normale dialettica parlamentare». Duro anche Cateno De Luca: «Le trattative fanno parte della normale dinamica parlamentare. Le strumentalizzazioni non aiutano la Sicilia».

Dentro questo caos emerge però un dato politico spesso rimosso dal racconto quotidiano. La Sicilia sta vivendo una fase storica di transizione, complessa ma reale. Molte scelte che oggi trovano sbocco arrivano dopo anni di immobilismo, quando l’Isola aveva smesso di contare nei rapporti con lo Stato. La presidenza di Renato Schifani si colloca dentro questa discontinuità. Al netto delle tensioni interne, è difficile negare che il rapporto diretto con Roma abbia rimesso in moto dossier bloccati per decenni. Dalle infrastrutture, a partire dall’asse Catania-Palermo, fino ai nodi strategici della programmazione, qualcosa si è finalmente mosso. Ma il passaggio che segna una linea politica netta è un altro: dire no alla mafia con atti amministrativi concreti. La scelta dei termovalorizzatori non è solo una risposta tecnica all’emergenza rifiuti, ma una rottura con un sistema che ha prosperato sull’assenza di decisioni. È qui che si misura la volontà di colpire interessi consolidati e rendite parassitarie.

I termovalorizzatori sono un trampolino politico e industriale capace di portare la Sicilia fuori dalla gestione emergenziale e dentro una logica europea di legalità e investimenti. Una partita di lungo periodo, ben più ampia delle tensioni parlamentari. Letta in questa cornice, la Finanziaria racconta non solo una crisi politica, ma la difficoltà di governare una stagione di cambiamento che produce resistenze. La vera sfida non sarà solo tenere insieme i numeri in Aula, ma dimostrare che la Sicilia è capace di reggere il peso delle scelte e di non tornare indietro. Perché questa volta la posta in gioco non è una manovra, ma il futuro dell’Isola.

Dentro questo quadro si inserisce anche un altro elemento. Renato Schifani è un uomo delle istituzioni. Lo ha dimostrato nel caso della nomina di Annalisa Tardino all’Autorità portuale di Palermo, una decisione che aveva acceso forti critiche ed è finita al vaglio del Tribunale. Senza irrigidirsi, Schifani ha riconosciuto che la Tardino, in poco tempo, ha prodotto risultati concreti, assicurandole il sostegno del Governo regionale. Un passaggio che racconta un metodo: quando è in gioco l’interesse generale, fare un passo indietro è responsabilità, non debolezza. È anche questo il segno di una visione istituzionale che mette al centro il bene della Sicilia. Perché governare non significa solo resistere, ma correggere la rotta quando serve, se l’obiettivo resta davvero quello di far crescere l’Isola.