Dal vertice di Pratica di Mare all’Alaska: il ritorno di Putin sulla scena internazionale

Dal vertice di Pratica di Mare del maggio 2002 l’Italia, guidata allora da Silvio Berlusconi, viene ricordata come uno dei principali ponti tra Occidente e Russia, anche grazie alla lunga amicizia personale tra il Cavaliere e Vladimir Putin. In quell’occasione fu firmata la storica Dichiarazione di Roma, che aprì la Nato a un dialogo con Mosca e inaugurò un decennio di relazioni privilegiate tra i due Paesi. Oggi, ventitré anni dopo, lo scenario internazionale è radicalmente diverso. Il vertice in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin, pur senza produrre un accordo formale, ha avuto un peso politico più significativo di quanto lascino intendere i comunicati ufficiali. Per il leader del Cremlino si è trattato dell’occasione per rompere l’isolamento diplomatico seguito all’invasione dell’Ucraina e alle sanzioni occidentali. Sedersi al tavolo con il presidente degli Stati Uniti, essere descritto come “pronto alla pace” e tornare a essere riconosciuto come interlocutore indispensabile equivale a una forma di legittimazione internazionale che Putin inseguiva da tempo.

Il summit, durato meno del previsto, non ha sciolto i nodi più controversi ma ha già regalato a Mosca un risultato politico di peso: la Russia non è più relegata all’isolamento e torna a sedere al tavolo dei grandi giochi diplomatici, con un ruolo centrale nella trattativa che chiama in causa direttamente Kiev e l’Europa. È questo l’aspetto che inquieta maggiormente le cancellerie europee: la consapevolezza che, al di là di sanzioni e forniture militari, Putin resti un interlocutore inevitabile sulla via della pace. In questo scenario l’Unione Europea si trova sospesa tra la necessità di sostenere Zelensky e il rischio di venire scavalcata da un negoziato gestito altrove, lontano dalle proprie stanze decisionali.

Trump ha raccontato che Putin sarebbe disposto “a trovare una soluzione pacifica” alla guerra in Ucraina, ma ha evitato di rivelare quali ostacoli abbiano impedito un cessate il fuoco. “Forse verrà reso pubblico da altri, ma io non voglio parlarne adesso”. Per l’ex tycoon, ora “la palla passa al presidente Zelensky e ai Paesi europei”, chiamati a farsi carico del processo di pace. Trump ha definito l’incontro un “10” sul piano della relazione personale con Putin, sottolineando che, contrariamente ai rapporti con Biden, ora il leader russo “rispetta di nuovo gli Stati Uniti”.

Non solo dichiarazioni di facciata: in un’intervista a Fox News, successiva al vertice in Alaska, Donald Trump ha riferito che Vladimir Putin avrebbe messo in dubbio la regolarità delle elezioni presidenziali americane del 2020, sostenendo che il voto per corrispondenza non garantirebbe elezioni trasparenti. Sul piano diplomatico resta aperto il capitolo delle sanzioni: Washington valuta infatti nuove misure contro Mosca, attese nelle prossime settimane. Tra queste, le cosiddette “sanzioni secondarie”, che potrebbero estendere l’impatto anche a Paesi come India e Cina, oggi tra i principali partner energetici della Russia.

Un dettaglio insolito ha attirato l’attenzione: durante il vertice Trump avrebbe consegnato a Putin una lettera firmata da Melania, incentrata sul dramma dei bambini ucraini rapiti e trasferiti in Russia o nei territori occupati, una vicenda dolorosa e spesso sottaciuta. Il messaggio finale, rivolto direttamente a Kiev, è stato netto: “Fai un accordo” (“Gotta make a deal”), ha consigliato Trump a Zelensky, lasciando intendere che la finestra per la pace è aperta. Ora, secondo l’ex presidente, spetta all’Ucraina e all’Europa cogliere l’opportunità.