Pippo Baudo (Fonte: ANSA Foto) - www.cataniaoggi.it

“La televisione è come una spugna: raccoglie tutto ciò che c’è sul pavimento e quando la strizzi restituisce il succo della società.” Pippo Baudo amava ripeterlo, convinto che il piccolo schermo dovesse raccontare il Paese nella sua interezza. Negli anni della sua tv, la Rai era la grande piazza comune in cui l’Italia si riconosceva: varietà, musica, spettacolo e racconto popolare convivevano sullo stesso palco. Oggi, a distanza di decenni, quella definizione conserva intatta la sua attualità, ma in forme nuove: la televisione contemporanea, con i suoi talent, i talk e i programmi di intrattenimento, dimostra come la “spugna” catturi ancora la società, restituendo i linguaggi e i sogni di una generazione diversa, più frammentata e veloce. La parabola di Baudo e quella della tv di oggi, pur diversissime, raccontano due facce della stessa medaglia: entrambe hanno fatto del piccolo schermo un osservatorio sul Paese. Baudo con i grandi varietà che fermavano l’Italia il sabato sera, la televisione attuale con format capaci di lanciare mode, idoli e carriere. Lui erede della tradizione, l’altra figlia di una modernità che ha rotto gli schemi, ma in entrambi resta vero ciò che Baudo sosteneva: la televisione, quando sa cogliere il tempo che vive, diventa il ritratto più fedele della società.

Ed è proprio qui che si coglie il filo rosso tra la televisione di ieri e quella di oggi. La tv di Baudo rappresentava l’Italia che si ritrovava insieme davanti allo stesso schermo, un Paese che cercava leggerezza ma anche riscatto, che si emozionava per la musica e si riconosceva nei grandi varietà del sabato sera. La tv contemporanea non ha più quella dimensione collettiva: parla a un pubblico più segmentato, che consuma contenuti in modi diversi e in tempi rapidi. Ma la missione resta la stessa: restituire l’immagine di un Paese, intercettarne i desideri, trasformare aspiranti cantanti, comici e ballerini in idoli, così come Baudo aveva fatto portando alla ribalta Pausini, Giorgia, Bocelli e tanti altri.

Pippo Baudo è morto a 89 anni, nella sua casa di Roma, lasciando dietro di sé un vuoto che non riguarda solo la televisione, ma l’identità stessa di un popolo cresciuto insieme a lui. Non se n’è andato soltanto un presentatore: si chiude un’epoca, quella di una tv che sapeva intrattenere e, allo stesso tempo, raccontare la vita di tutti i giorni. Giuseppe Baudo, per tutti semplicemente Pippo, era nato il 7 giugno 1936 a Militello in Val di Catania. Non ha mai dimenticato le sue radici, anzi, parlava spesso con orgoglio della sua Sicilia. Laureato in giurisprudenza, avrebbe potuto imboccare altre strade, ma la sua vera vocazione era il palcoscenico. Negli anni Sessanta arrivò il debutto televisivo, e da lì in poi la sua carriera non si è più fermata. Settevoci, Canzonissima, Fantastico, Domenica In: programmi che hanno fatto la storia della Rai e che, quando li conduceva lui, diventavano appuntamenti irrinunciabili. Il trono, però, resta quello di Sanremo: tredici edizioni condotte, sette da direttore artistico. Nessuno ha saputo dominare l’Ariston come lui, con una naturalezza che trasformava la kermesse in un rito nazionale.

Baudo non fu solo un conduttore: fu anche un talent scout con un occhio capace di vedere lontano. Se oggi nomi come Laura Pausini, Giorgia, Andrea Bocelli o Anna Oxa appartengono alla storia della musica italiana, è anche grazie a lui. Lo stesso vale per showgirl e volti dello spettacolo come Lorella Cuccarini, Heather Parisi, Beppe Grillo, Barbara D’Urso. Non per caso lo chiamavano “Superpippo”: un soprannome che raccontava la sua energia inesauribile e la capacità di reinventarsi in ogni stagione della televisione. Era il maestro del varietà, capace di tenere incollati milioni di spettatori davanti alla tv, ma anche di difendere con orgoglio la qualità e la dignità del mezzo, anche quando il mercato iniziava a piegarlo al puro spettacolo. Il suo stile era inconfondibile: elegante ma diretto, colto e popolare allo stesso tempo, con un sorriso rassicurante che arrivava nelle case come una presenza familiare. Pippo Baudo non presentava soltanto: raccontava il Paese. Nei suoi programmi non c’era soltanto musica o leggerezza, ma la fotografia di un’Italia che cambiava, dagli anni delle tensioni sociali al rifiorire dell’edonismo negli anni Ottanta, fino alle trasformazioni più recenti.

Con la morte di Pippo Baudo si chiude un’epoca irripetibile, ma il filo che lui ha teso tra televisione e società non si è spezzato. Oggi la tv, con linguaggi e strumenti diversi, continua la stessa missione: essere lo specchio del Paese. È cambiato il pubblico, sono cambiati i format, ma resta identica la funzione che Baudo aveva intuito con lucidità: la televisione non inventa nulla, raccoglie ciò che la società le consegna e lo rimanda indietro trasformandolo in racconto popolare. In questo passaggio di testimone tra ieri e oggi sta l’eredità più viva del “Superpippo”: ricordarci che la televisione, quando è fatta bene, non è solo spettacolo ma storia collettiva.