Quartetto di Catania, la sfida di riportare alla luce la musica da camera italiana dell’Ottocento

Una serata all’insegna della ricerca, della passione e della riscoperta. Al Teatro Sangiorgi, nell’ambito del Bellini International Context promosso dal Teatro Massimo Bellini, il Quartetto di Catania ha riportato alla luce pagine dimenticate della musica da camera italiana dell’Ottocento, restituendo al pubblico un patrimonio rimasto troppo a lungo sepolto nelle biblioteche. Una vera e propria “prima esecuzione moderna” che ha permesso di ascoltare opere di compositori catanesi dell’Ottocento – da Platania a Pacini, fino a Pappalardo – figure che seppero conquistare i palcoscenici europei ma che la storiografia musicale ha relegato in secondo piano, schiacciate dal predominio dell’opera lirica.

L’evento ha messo in luce come Catania, grazie a tre autori di questa levatura, pur considerati a torto “minori”, si sia imposta già nell’Ottocento come una delle città più rilevanti del Regno d’Italia, soprattutto negli anni successivi all’Unità. In un Paese che sembrava avere dimenticato la musica strumentale a favore del melodramma, la città del Cigno etneo seppe distinguersi non solo con Vincenzo Bellini, celebrato in tutto il mondo come uno dei più grandi operisti di sempre, ma anche con musicisti capaci di affiancare al teatro lirico una sorprendente produzione cameristica.

Si tratta di autori che arrivarono a comporre sette, otto quartetti ciascuno, spesso con organici insoliti – come la presenza di due viole o due violoncelli – segno di una ricerca sonora innovativa e raffinata. Il risultato è l’immagine di una Catania che, pur legata indissolubilmente all’opera, si rivela al tempo stesso un centro fondamentale della musica strumentale italiana, capace di affermare una voce originale anche in un panorama dominato dal melodramma.
Protagonista indiscusso dell’evento è stato il Quartetto di Catania, formato da Augusto Vismara (violino I), Marcello Spina (violino II), Gaetano Adorno (viola) e Alessandro Longo (violoncello). Con rigore, passione e sensibilità interpretativa, i musicisti hanno guidato il pubblico in un viaggio tra sonorità dimenticate e riscoperte, dimostrando quanto la produzione strumentale catanese dell’Ottocento meriti di essere riportata al centro dell’attenzione.
Il programma ha proposto tre lavori: il Quartetto n. 2 in la minore di Pietro Platania (1828-1907), prima in chiave moderna la Fantasia Belliniana di Domenico Famà in prima esecuzione assoluta, commissionata dal Teatro Massimo Bellini e dedicata al Quartetto di Catania, e il Quartetto n. 1 in sol minore “L’amor coniugale” di Giovanni Pacini (1796-1867).
Prima esecuzione moderna

Nel testo introduttivo, curato da Augusto Vismara, si sottolinea come gran parte della produzione cosiddetta “minore” dell’Ottocento italiano sia stata ingiustamente dimenticata, «per il semplice fatto che nessuno si preoccupasse di eseguirla, inciderla, renderla pubblica». Una trascuratezza che ha relegato musiche di valore all’oblio, lasciandole «inspiegabilmente assenti, con rarissime eccezioni, sia nel panorama discografico che in quello delle programmazioni concertistiche».

I due quartetti di Platania e Pacini, eseguiti in prima esecuzione moderna, rappresentano dunque una testimonianza viva di un’epoca e di una ricerca stilistica ancora tutta da scoprire. Pacini, compositore operistico illustre e prolifico, intitolò il suo primo quartetto “L’amor coniugale”, forse per bilanciare sulla carta una vita trascorsa fra palcoscenici e amori più o meno celebri, dedicando alla moglie un lavoro importante di musica da camera. Non si tratta, tuttavia, di un brano legato a una narrazione sentimentale, ma di un’opera matura, magistrale nella costruzione e felice nelle invenzioni musicali. Il Minuetto, in particolare, ricorda il giovane Beethoven e i suoi trii d’archi, confermando il valore della produzione cameristica di Pacini, composta in totale da sette quartetti.

Il Quartetto n. 2 in la minore di Platania, invece, mostra un autore didatta e contrappuntista di fama internazionale capace di sorprendere per libertà inventiva. Pur partendo da un impianto classico, Platania si concede trovate timbriche ardite – come tremolati al ponticello e un uso inconsueto degli armonici – e momenti dal carattere quasi verista, in particolare nel tempo lento. Anche la costruzione formale, con il ritornello del primo tempo organizzato in modo da renderne obbligatoria la esecuzione, rivela la maestria di un compositore rigoroso e insieme fantasioso.

A completare, la Fantasia Belliniana di Domenico Famà, prima assoluta commissionata dal Teatro Bellini. Un lavoro agile e brillante, concepito come trait d’union fra Pacini e Platania e dedicato al Quartetto di Catania, che suggella idealmente una continuità nella musica dei compositori catanesi. Il grande impegno del Quartetto di Catania e la collaborazione con il Teatro Massimo Bellini hanno reso possibile, ieri sera, riportare all’attenzione del pubblico un repertorio capace di ridisegnare il percorso del romanticismo italiano oltre l’opera lirica e la musica sacra, territori più esplorati e conosciuti.

Tra i protagonisti della serata al Teatro Sangiorgi, il violista Gaetano Adorno ha offerto il suo punto di vista sulla riscoperta di un repertorio a lungo dimenticato: lei è il violista del Quartetto di Catania. Nel testo introduttivo si parla di una “ingiusta dimenticanza” della musica da camera italiana dell’Ottocento: perché, secondo lei, questo repertorio è stato trascurato così a lungo? “È stata trascurata perché, diciamo, il mondo musicologico ha sempre pensato che questo periodo fosse dominato esclusivamente dall’opera, senza lasciare spazio a quartetti e musica strumentale. Invece il Quartetto di Catania sta contribuendo, forse per primo in questa direzione, a rivalorizzare e riscoprire questo repertorio. Nel caso specifico si tratta di tre autori catanesi che hanno un’importanza non solo nazionale, ma sicuramente internazionale: sia Platania che Pacini, e anche Pappalardo, hanno avuto un successo assolutamente di livello europeo. Questa musica merita di essere suonata, incisa, ascoltata, riscoperta e portata avanti».

Come ha vissuto il pubblico la riscoperta di questi autori rispetto a un repertorio più consueto? «Se pensiamo all’anno scorso, – dice il maestro Adorno – al primo concerto che abbiamo presentato qui al Teatro Sangiorgi, sempre su invito del Teatro Massimo e all’interno del BIC, abbiamo proposto il primo quartetto di un altro autore catanese, Salvatore Pappalardo, e il secondo quartetto di Pacini. La risposta del pubblico è stata molto positiva, perché si tratta di autori legati a una particolare sonorità e a un certo tipo di evocazione. In Pappalardo, in particolare, si coglie una forte sicilianità nel comporre: l’uso di melodie che richiamano forse anche il repertorio popolare, con un accento tipicamente siciliano. Questo, secondo me, ha affascinato il pubblico, che ha accolto con piacere la bellezza di quelle melodie, di quelle armonie e di quelle strutture cameristiche. L’anno scorso, e speriamo anche quest’anno, la risposta del pubblico catanese è stata significativa. Inoltre, a livello nazionale, sono usciti articoli su riviste importanti come Archie e abbiamo avuto anche un passaggio su Rai Radio 3 come nuove proposte musicali. Tutto questo ha messo in evidenza non solo l’apprezzamento della critica, ma soprattutto l’interesse per questa musica che, pur essendo antica, risulta nuova perché mai eseguita prima. Per noi è una conferma molto incoraggiante».

Accanto alla riflessione di Adorno, anche il maestro Augusto Vismara, primo violino del Quartetto di Catania, ha raccontato le difficoltà incontrate nel riportare in vita queste partiture rimaste silenti per oltre un secolo e mezzo: «La prima difficoltà è stata quella di trascrivere queste musiche. Nell’Ottocento la stampa musicale avveniva attraverso incisione litografica: un errore non poteva essere corretto senza rifare tutto da capo. Per questo le edizioni sono piene di imprecisioni e contraddizioni nei segni musicali e nelle indicazioni — crescendo, diminuendo, dinamiche varie. È stato necessario realizzare non solo una trascrizione critica, ma anche una revisione attenta, ristampando tutto al computer. Poi c’è stata la sfida più grande: fare musica che non aveva alcun confronto possibile. Stiamo parlando di una prima esecuzione dopo 150 anni. Non è come suonare un quartetto di Beethoven, dove puoi rifarti a illustri precedenti come il Quartetto Italiano o l’Amadeus. Qui si tratta del suono del romanticismo italiano, nato in area siciliana, che abbiamo dovuto in qualche modo reinventare: immaginare la sonorità, le idee ritmiche, la misura espressiva. È stato necessario ricreare qualcosa che, forse, potrà diventare un’indicazione anche per chi in futuro eseguirà questi quartetti».

«Questa musica è numerosa, – sottolinea il maestro Vismara – ci sono sette quartetti di Pacini, sette quartetti di Pappalardo e così via, un corpus molto consistente di musica da camera italiana nell’epoca d’oro del melodramma. Essendo catanese, questo repertorio è in grado di ridisegnare l’idea stessa dell’artisticità di ciò che Catania ha saputo e sa ancora produrre dal punto di vista musicale e culturale. Parliamo di opere rimaste sepolte nelle biblioteche di Napoli, dove i compositori si erano trasferiti perché allora era la capitale musicale. Per questo ritengo importante, anche per la città stessa, che questo patrimonio venga riscoperto e rimesso a disposizione».

Il ciclo proseguirà stasera sabato 20 settembre al Teatro Sangiorgi con “Un Bellini, s’il vous plaît!”, conversazione e recital dedicati agli echi del belcanto nelle sale da concerto, e la stessa sera al Teatro Vittorio Emanuele di Messina con “Bellindanza”, spettacolo di musica e coreografie diretto da Mariangela Bonanno. L’iniziativa è promossa e organizzata dall’Assessorato del Turismo, dello Sport e dello Spettacolo della Regione Siciliana in collaborazione con alcune tra le principali istituzioni culturali dell’Isola.