Sotto il profilo lavico del Castello normanno, una platea gremita ha seguito il faccia a faccia tra Nino Di Matteo, sostituto procuratore nazionale antimafia, e Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Catania. A guidare il confronto è stato il giornalista Giuseppe Pipitone, mentre il Comune – per impulso del consigliere alla cultura Antonio Maugeri. Di Matteo ha aperto con un giudizio tranciante sul lavoro dell’attuale Commissione parlamentare Antimafia: a suo avviso l’organismo, presieduto da Chiara Colosimo, «sta allontanando in modo forse irreversibile la verità sulle bombe del ’92-’93». In particolare il magistrato contesta la decisione di analizzare soltanto la strage di via D’Amelio, ignorando la connessione con Capaci e con gli attentati del ’93. «Le sentenze definitive – ha ricordato – dicono che Cosa nostra non colpì da sola; elementi esterni ebbero un ruolo ideativo e operativo».
Sul versante delle riforme, Di Matteo boccia la separazione delle carriere: «Non renderà i processi più rapidi, ma consegnerà l’azione penale all’esecutivo, trasformando il pubblico ministero in un super-poliziotto e riducendo le garanzie dei cittadini». Altrettanto critico l’affondo contro i tagli alle intercettazioni e il divieto di pubblicare ordinanze non più coperte da segreto: «Ridurre gli strumenti d’indagine e l’accesso dell’opinione pubblica alle carte serve solo a schermare il potere».
Ardita ha spostato il fuoco sui risultati concreti della repressione. Le recenti scarcerazioni di boss mai pentiti – ha spiegato – derivano da un “meccanismo di erosione” della pena che svuota la certezza della condanna. «Una sentenza di dieci anni resta sulla carta; fra liberazioni anticipate, licenze e benefici, chi ha commesso fatti gravissimi può tornare fuori, ricadere nel crimine e rientrare in cella più volte. Non è democrazia: è anarchia punitiva che incrina il patto sicurezza-libertà».
Il magistrato catanese ha poi ricordato come le carceri di massima sicurezza, storicamente, siano state terreno di scambio fra Stato e poteri criminali: «Dall’Asinara a Pianosa, ogni apertura o chiusura è stata trattativa». In chiusura, Di Matteo ha richiamato il dovere dei magistrati di parlare «senza paura né convenienze»: «Abbiamo giurato sulla Costituzione nel solco del sangue di Falcone e Borsellino; tacere oggi sarebbe tradirne la memoria». L’applauso finale, accompagnato da una targa dell’associazione “Catania Più Attiva”, ha suggellato una serata in cui la lotta alla mafia è tornata ad essere, almeno per qualche ora, tema centrale dell’agenda pubblica.