Ostuni: sparatoria, eroismo e il paradosso delle tutele legali per chi difende la collettività

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Nel caso di Ostuni, è accaduto l’impensabile: un criminale ha freddato il brigadiere capo dei Carabinieri Carlo Legrottaglie e, senza alcuna pietà, ha tentato di uccidere anche il poliziotto. L’arma “inceppata” è stata la sola a impedirgli di compiere un nuovo omicidio. Eppure, appena Mastropietro è caduto a terra, la Procura di Taranto ha aperto un fascicolo anche nei confronti degli agenti che hanno risposto al fuoco. Aprire un’inchiesta in questi casi è “atto dovuto” per prassi, ma diventa un paradosso se si pensa a cosa significa lavorare in strada: un uomo o una donna della Polizia, del Carabinieri o dell’Arma dei Finanzieri, ogni giorno mette a rischio la propria vita per garantire la sicurezza di tutti noi. Tra le pieghe del Codice di Procedura Penale, infatti, basta un avviso di garanzia per far scattare l’obbligo di nomina di un avvocato di fiducia. Gli avvocati non sono volontari: sono liberi professionisti che richiedono parcelle adeguate al loro lavoro.

Immaginate un operatore di polizia che, dopo aver sventato una rapina o bloccato un bandito armato, si ritrova a dover far i conti non solo con il trauma dell’evento, ma anche con fascicoli processuali, interrogatori e oneri legali. Già l’incertezza di non sapere se il proprio gesto, compiuto per salvare la vita di un collega o di un cittadino, sarà ritenuto “legittimo” mette una pressione inaccettabile. In situazioni di conflitto a fuoco, quando è palese che un malvivente continua a sparare e uccidere, non ci dovrebbe nemmeno essere bisogno di applicare per filo e per segno le regole ordinarie: serve un’immediata garanzia di protezione per l’operatore che risponde al fuoco e salva vite. La revisione delle procedure penali in questi casi non è un favore alla Polizia, ma un atto di giustizia verso chi mette il proprio corpo tra il pericolo e la collettività.

L’inchiesta ricostruisce per la prima volta la drammatica caccia ai due fuggitivi. Mercoledì scorso, grazie alle segnalazioni di un cittadino, la Polizia ha intercettato i banditi in contrada Galeasi: un passante aveva raccontato che un parente, fermatosi in campagna, era stato affiancato da due uomini, uno con i capelli bianchi, che chiedevano un passaggio e dell’acqua. I “falchi” della Mobile li hanno individuati in un campo di grano; mentre Giannattasio si è arreso senza opporre resistenza, Mastropietro è riuscito a dileguarsi, dando inizio a un inseguimento degno di un film. Durante la fuga, l’uomo ha impugnato la pistola con entrambe le mani e, puntandosi in mezzo al campo, ha esploso un colpo diretto verso l’ispettore, privo di coperture, che per un miracolo non è stato colpito. Mastropietro ha poi estratto un secondo caricatore e ha premuto nuovamente il grilletto, ma l’arma non ha sparato per un mancato incameramento della cartuccia: di nuovo un “clic” anziché uno “sparo”, e l’ufficiale si è salvato.

L’inseguimento è continuato tra i tunaini di uva: sotto i pergolati Mastropietro ha aperto il fuoco una quindicina di volte, costringendo un altro agente a fare scudo con la volante per proteggere alcuni operai. Quando nuovamente a pochi metri dal sovrintendente, l’uomo ha rifiutato di deporre l’arma, puntandola contro di lui. A quel punto il caricatore è caduto e, intuendo che fosse scarico, il poliziotto ha gettato via la pistola e lo ha ammanettato. Mastropietro, ferito e svenuto, ha chiesto aiuto: il collega ha tamponato la ferita in attesa del 118, ma al loro arrivo il rapinatore era già deceduto.

Ma non è finita. Poche ore più tardi, in uno degli appartamenti dei due malviventi è stato rinvenuto un piccolo arsenale: secondo il Gip «per non farlo scoprire hanno ucciso il brigadiere Legrottaglie». L’ultimo saluto a “zio Carlo”, prematuramente stroncato a pochi giorni dal pensionamento, si è consumato in una chiesa di Ostuni gremita di colleghi, familiari e istituzioni: tra loro il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il ministro della Difesa Guido Crosetto e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, visibilmente commossi nel confortare la moglie Eugenia e le gemelle quindicenni Carla e Paola.

La Lega e Fratelli d’Italia hanno chiesto tutele più solide per chi indossa la divisa, e il deputato Anastasio Carrà ha rilanciato la proposta di rivedere le procedure penali che regolano l’uso legittimo delle armi in servizio: «Difendere chi ci difende è un dovere, anche sul piano giudiziario», ha dichiarato. Il caso di Ostuni testimonia come la prontezza e il coraggio degli uomini dello Stato, unitamente alla collaborazione dei cittadini, abbiano evitato un bilancio ancora più tragico. Ma riapre il dibattito sulla protezione giuridica dei servitori pubblici e sulla necessità di garantire loro ogni strumento di difesa.