Il mondo in piazza San Pietro: tra l’abbraccio al fratello e le sfide dell’era digitale inizia il nuovo pontificato

Una distesa di volti attorno al colonnato di Bernini: almeno duecentocinquantamila fedeli, le bandiere di centocinquantasei Paesi, le delegazioni dei due Stati di cui Robert Francis Prevost è cittadino, Stati Uniti e Perù, più quelle dell’Italia e delle nazioni di ogni continente. In Basilica e in piazza siedono duecento cardinali, settecentocinquanta arcivescovi, quindici patriarchi e metropoliti orientali, tremilaquattrocento tra sacerdoti e diaconi; con loro rabbini, imam, monaci di altre tradizioni. Il mondo intero converge in Vaticano per l’inizio del pontificato di Leone XIV, cerimonia in cui il nuovo Papa riceve il pallio, l’anello del pescatore e l’omaggio di dodici membri della Chiesa, gesto che sostituisce il vecchio “atto di obbedienza” con un abbraccio universale.

Il pontefice attraversa piazza San Pietro e via della Conciliazione fino a piazza Pia su papamobile, salutato da decine di migliaia di confraternite giunte per il loro giubileo e proiettate in una festa ancor più grande. Nella basilica quasi vuota, con i patriarchi orientali, scende al sepolcro di Pietro: silenzio, preghiera, poi il canto che apre la processione. I diaconi portano il Vangelo, il pallio di lana bianca tre spille richiamano i chiodi della croce e l’anello. Le insegne gli vengono consegnate dal cardinale Dominique Mamberti per l’Europa e da Luis Antonio Tagle per l’Asia; Fridolin Ambongo, voce dell’Africa, invoca lo Spirito. Dietro, a rappresentare i continenti, i cardinali Leo, Spengler, Ribat; accanto a loro un vescovo, un presbitero, un diacono, due religiose, una coppia di sposi e due giovani: miniatura vivente del popolo di Dio che si affida al 267º successore di Pietro.

Al termine della Messa, nella navata centrale di San Pietro, una lunga fila di capi di Stato, premier e dignitari rende omaggio al Pontefice secondo un rigidissimo cerimoniale. Per oltre un’ora Leone XIV stringe mani e scambia poche parole con ciascuno, ma quando vede avanzare il fratello maggiore Louis, il protocollo si piega a un momento di intensa familiarità: i due si abbracciano con calore, parlano sottovoce per qualche secondo il tempo consentito dagli assistenti pontifici e si salutano con un sorriso carico di emozione. È l’unica vera deroga alla severa etichetta vaticana, accolta da un applauso spontaneo dei presenti.

Nell’omelia il Papa lega il proprio programma ai gridi inaugurali dei predecessori «Non abbiate paura», «Portate l’uomo fuori dal deserto», «Custodite il creato» e proclama il suo: «Questa è l’ora dell’amore». Richiama la Rerum Novarum di Leone XIII per esigere una Chiesa fondata sulla carità e segno d’unità, missionaria, braccia aperte, lievito di concordia. Ricorda Francesco «la sua morte ha riempito di tristezza il nostro cuore» e punta lo sguardo su Gaza («bambini e anziani ridotti alla fame») e sull’Ucraina «martoriata», ribadendo che la dignità umana resta intatta «in patria o in terra straniera». Chiede di sostituire i muri con i ponti, tema che già movimenta la stampa statunitense: USA Today parla di possibile “reset” fra Washington e Roma dopo le tensioni dell’era Trump.

Intanto i genealogisti di Genealogy Discord rivelano le radici policrome del Papa: ascendenze creole di New Orleans per via materna; nonni paterni siciliano-francesi finiti sulle cronache di Chicago nel 1917 per “condotta immorale”. Salvatore Giovanni Riggitano, professore poliglotta, sposato con Daisy Hughes, fu accusato di relazione con Suzanne Fontaine; i due emigrarono, cambiarono cognome in Prevost e alla fine misero al mondo Louis, padre di Leone XIV. «Dio non sceglie i perfetti», commenta il Pontefice: «trasforma le ferite in feritoie da cui passa la luce».

Sono passati centotrentaquattro anni dalla pubblicazione della Rerum Novarum, quando Leone XIII rivendicò la dignità del lavoro in un mondo sconvolto dalla prima rivoluzione industriale. Oggi, di fronte a una trasformazione ancor più radicale, l’avvento dell’intelligenza artificiale, capace di sostituire non soltanto la fatica delle braccia ma anche l’ingegno della mente, un altro Leone, il XIV, si prepara a difendere quello stesso principio. Robert Francis Prevost, matematico di formazione prima che vescovo, porta a Roma una sensibilità rara verso la tecnologia: rifugge tanto la tecnofobia quanto l’entusiasmo ingenuo e ricorda che un algoritmo può liberare o schiacciare a seconda di chi lo progetta e dei valori che lo guidano. «L’intelligenza artificiale introduce sfide nuove alla dignità, alla giustizia, al lavoro», ha avvertito al suo primo incontro con i cardinali, lasciando intuire un pontificato in prima linea sul fronte digitale.

Nel 1891 la Rerum Novarum pose al centro i diritti degli operai, domani un’ipotetica Rerum Digitalium potrebbe diventare la bussola etica dell’era dell’automazione. Il terreno, tuttavia, non è vergine. Papa Francesco, intervenendo al G7 del 2024, aveva già denunciato il rischio di un’umanità «senza speranza se affida le scelte alle macchine» e ricordato come ogni innovazione porti con sé una visione del potere. Il programma di Leone XIV intreccia la frontiera digitale con un pacchetto di riforme: sinodalità permanente su piattaforme aperte, una «Banca del Vangelo» trasparente, laboratori etici sull’IA. Un pontificato “glocal”, radicato nella liturgia ma capace di parlare ogni lingua del XXI secolo. «Se lo sfiori, vibra», dice chi lo frequenta: la prima nota che risuona è un invito a sperare proprio quando se ne avverte più bisogno.

Quanto al ruolo delle donne, Prevost sostiene da tempo che non basta attribuire ordini sacri per risolvere i problemi ecclesiali. Da prefetto del Dicastero per i vescovi aumentò la presenza femminile nelle commissioni di selezione e nel 2023 spiegò che «clericalizzare le donne» non è la soluzione: conta valorizzarne davvero la voce nei luoghi decisionali. Sul fronte ambientale promette continuità con l’enciclica Laudato Si’: lo scorso novembre ha chiesto che la Chiesa lotti con più vigore contro i cambiamenti climatici, ricordando che il dominio sulla natura non deve mai diventare tirannico. Anche l’attenzione ai migranti segue la linea di Francesco. In Perù Prevost si è speso per i venezuelani in fuga dalla crisi di Caracas; ora ribadisce che la dignità di chi cerca rifugio non conosce confini politici.

Sull’inclusione delle persone LGBTQ+ la traiettoria di Prevost mostra un’evoluzione: da posizioni inizialmente prudenti a un’apertura più ampia, in sintonia con l’approccio di Papa Bergoglio. Nell’ottobre 2024 chiese che ogni conferenza episcopale discutesse le benedizioni alle coppie omosessuali rispettando le diversità culturali, dato che in vari Paesi l’omosessualità è ancora criminalizzata. Tra sfide digitali, giustizia sociale, ecologia integrale, migrazioni e cultura dell’incontro, Leone XIV annuncia un’agenda densa. Come il suo omonimo di fine Ottocento, intende coniugare dottrina e innovazione, convinzione e dialogo. E se il futuro appare incerto, il nuovo Papa ripete che la speranza resta la prima tecnologia del cuore umano, capace di orientare perfino i codici più complessi.