Cassarà, il verbale segreto: «Permessi ai mafiosi pericolosi per la sicurezza». Polemica ancora attuale

Ventiquattro pagine dattiloscritte, fitte di annotazioni a penna, restituiscono oggi la voce di Ninni Cassarà, vice questore e stretto collaboratore di Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia il 6 agosto 1985. Il documento, pubblicato oggi in esclusiva da Repubblica, riporta un colloquio riservato del 1984 tra Cassarà e il senatore Sergio Flamigni, membro della Commissione parlamentare antimafia. «Concedere permessi ai mafiosi incide sulla sicurezza pubblica. La presenza sul territorio può turbare delle situazioni», scandisce Cassarà, parole che suonano come un drammatico monito ancora attuale, vista la recente polemica sui permessi premio concessi ai boss mafiosi condannati, ma non collaboranti. La Corte Costituzionale nel 2019 aveva aperto questa possibilità, e negli ultimi mesi diverse concessioni hanno provocato forti critiche e preoccupazioni tra magistrati e associazioni antimafia.

Cassarà descrive nel colloquio una Palermo in cui pezzi dell’imprenditoria intrattengono «un rapporto organico, di mutuo soccorso» con Cosa nostra, e parla chiaramente del movente dietro l’omicidio di Piersanti Mattarella: «Aveva un modo nuovo di governare, più pulito. Cade sulla storia degli appalti delle scuole… se il presidente della Regione comincia a rompere le scatole, diventa pericoloso». Lucidamente, Cassarà evidenzia la debolezza dello Stato: «Assistiamo all’inefficienza totale: facciamo ogni mese 150 ore di straordinario sapendo che più di 80 non verranno pagate mai». Il poliziotto denuncia anche la mancanza di strumenti adeguati: «Microfoni direzionali non ne abbiamo. Palermo è particolarmente inquinata… Ci sono impiegati della Sip amici e parenti di mafiosi. Sentiamo: “Il telefono ha la tosse”».

Anticipando temi oggi che fanno discutere, Cassarà invoca la necessità di una banca dati centralizzata: «È importantissimo centralizzare i dati». L’investigatore, pragmatico e visionario, aggiunge: «Già da tempo schediamo le imprese mafiose», ma lamenta le scarse risorse: «Come facciamo la lotta alla mafia con cinque auto?». Il quadro si allarga al riciclaggio: «A Roma ci sono grosse imprese di costruzioni che hanno dieci cantieri in contemporanea». Il passaggio più amaro riguarda la squadra mobile palermitana: «Io ritengo che all’Investigativa siamo persone pulite». Flamigni annota che il tono è «serio e preoccupato».
L’analisi sociale di Cassarà resta amaramente valida: «Sembra che la questione della lotta alla mafia riguardi magistrati e poliziotti, mentre tutti gli altri sono spettatori». Un’accusa di inerzia civile e istituzionale che a quasi quarant’anni di distanza continua a interrogarci.

L’esclusiva di “Repubblica” restituisce la voce di un investigatore che non smise mai di credere in Palermo, pur sapendo che «al centro c’è il mondo mafioso» e intorno un cerchio di “gente un po’ per bene, un po’ no”. Oggi quelle pagine tornano a chiedere conto di ritardi, omissioni e connivenze che costarono la vita a tanti. Chi allora non lo ascoltò ha un’altra occasione per farlo, a partire da una certezza: quelle 24 pagine valgono più di qualsiasi comizio sulla legalità.