Gli appetiti sulle poltrone di sottogoverno – ben più dei buoni dati sul Pil o della “manovrina” finanziaria che attende di arrivare in aula – sono il vero campo di battaglia del centrodestra siciliano. I partiti della coalizione si presentano con un dossier da oltre cento incarichi da spartire: consigli d’amministrazione, collegi sindacali e presidenze che fanno gola a tutti e senza i quali, avvertono deputati e capibastone, la legge di stabilità di Renato Schifani rischia di incepparsi. Il capitolo più ricco riguarda gli Istituti autonomi case popolari, quasi tutti commissariati (tranne Catania, dove il cda scadrà in autunno) e pronti a un rinnovo che vale 48 nomine politiche più nove rappresentanti degli inquilini, con gettoni fra 8 e 40 mila euro l’anno. Seguono i consorzi universitari: 17 poltrone da assegnare a Trapani, Ragusa, Siracusa, Caltanissetta e nel “Mediterraneo orientale”. Poi 16 posti nei collegi sindacali di Sas, Maas, Parco tecnologico, interporti e partecipate agricole (8-17.500 euro). Sul tavolo anche il nuovo cda del Ciapi di Priolo, il vertice del centro Helen Keller, i board dei parchi Etna, Madonie, Nebrodi e Alcantara e le società legate all’Agricoltura.

Il vertice che avrebbe dovuto sbloccare l’intesa era in agenda oggi a Palermo, ma è slittato: Matteo Salvini ha preferito un altro sopralluogo sullo Stretto – prima Reggio Calabria, poi Messina. L’incontro sarà fissato a breve; nel frattempo, benché l’Istat certifichi per il 2023 un +2,1 per cento di Pil (record condiviso solo con l’Abruzzo), nei corridoi di Palazzo dei Normanni conta solo la mappa dei posti da occupare col manuale Cencelli. Finché l’accordo non sarà firmato, la maggioranza dilaterà i tempi, impantanando i testi cari al governo e approvando quelli dell’opposizione pur di evitare voti a rischio. L’assalto alle poltrone rischia di incendiare anche Forza Italia. Ieri, nella direzione nazionale a Roma, il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè ha sollevato il “caso Sicilia”, accusando il segretario regionale Marcello Caruso – e indirettamente Schifani – di gestione verticistica, segreteria mai convocata in due anni e “liste di proscrizione” contro gli azzurri critici. Ha denunciato perfino un’ombra di “questione morale” dopo l’ingresso in FI di un consigliere comunale mazarese finito sotto inchiesta.

Schifani ha incassato in silenzio, certo della copertura di Antonio Tajani: il leader nazionale, pur invocando più «coinvolgimento dei territori», non ha aperto istruttorie, convinto che l’Isola – forte di un 25 per cento alle Politiche – resti un modello da preservare. Resta però il nodo del rimpasto: tra i forzisti circola l’idea di sostituire l’assessore tecnico all’Economia con un deputato di partito premiando l’impegno nelle recenti elezioni provinciali. E, sussurrano altri, potrebbe scattare anche un “mini rimpasto” in sanità, con possibili avvicendamenti ai vertici dell’assessorato alla Salute e di alcune aziende sanitarie, mossa utile a disinnescare nuove fronde interne. Se tutto ciò basterà a sbloccare la sessione di bilancio è ancora un’incognita. In molti scommettono che la risposta arriverà solo con i decreti di nomina: quando l’ultima casella sarà occupata, l’aula potrà finalmente tornare a parlare di numeri. Fino ad allora, i partiti resteranno sulla difensiva, pronti a far saltare il banco al minimo sentore di disparità.