Forza Italia in Sicilia: dal nuovo statuto alla resa dei conti per il coordinamento regionale

Il voto con cui il Consiglio nazionale di Forza Italia ha sancito l’elezione dei segretari regionali da parte degli iscritti – tesserati da almeno due anni negli ultimi cinque – segna uno spartiacque nella storia del partito azzurro. È la prima vera apertura alla democrazia interna dall’era Berlusconi, e Antonio Tajani l’ha presentata come «un atto di meritocrazia: chi ha più consenso cresce». In Sicilia, dove FI conta 13.500 tessere (un quarto soltanto nell’Agrigentino), la norma riaccende una competizione rimasta finora latente.

Oggi la guida dell’isola è affidata a Marcello Caruso, scelto direttamente da Roma nel 2023. Caruso ha già annunciato la propria disponibilità alla riconferma, forte della sponda del governatore Renato Schifani. Ma la platea siciliana non è mai stata così irrequieta: sull’onda della riforma statutaria l’eurodeputato catanese Marco Falcone – che a Palazzo dei Normanni guida il gruppo di quattordici “falconiani” – ha fatto sapere che la sua area avanzerà «una candidatura competitiva» e che «il partito deve dettare la linea al governo, non subirla».

È nella provincia di Catania che si profilano gli equilibri più delicati. Oltre a Falcone, qui si muovono altri «pezzi da Novanta»: il deputato regionale Nicola D’Agostino, tornato nella casa azzurra dopo una parentesi al centro; il giovane imprenditore Salvo Tomarchio, reclutato da Tajani tra le energie fresche dell’imprenditoria 4.0; e soprattutto il gruppo che fa capo al deputato nazionale Giuseppe Castiglione, radicato nella zona pedemontana, in grado di spostare pacchetti di voti decisivi nei congressi interni. Su questo mosaico di correnti Caruso ha costruito finora la sua tenuta, ma la consultazione “dal basso” potrebbe rompere vecchi patti di non belligeranza.

La tensione è alimentata anche dai rapporti sempre più logori fra Schifani e l’alleato autonomista Raffaele Lombardo: gli uomini del Mpa chiedono un posto in giunta e minacciano voti contrari sui dossier caldi (consorzi di bonifica, rete sanitaria, mini‑finanziaria). In questo clima è maturata la decisione del presidente di presiedere i lavori romani del Consiglio nazionale, quasi a blindare Caruso. Ma il gesto non ha placato i malumori, anzi ha fornito nuovi argomenti a chi invoca «un partito che decida in Sicilia e non a Palazzo d’Orleans».

Il calendario, intanto, corre veloce: entro l’autunno partirà il nuovo tesseramento 2025; a primavera 2026 – salvo sorprese – le prime primarie azzurre dell’isola designeranno il coordinatore regionale. Se nessuno riuscirà a cucire un “congresso unitario”, l’urna diventerà il banco di prova della riforma tajaniana. Con un paradosso: la promessa di allargare la base potrebbe trasformarsi nell’occasione per un regolamento di conti fra correnti.