La sottile linea fra il bene e il male: Francesco Pulejo racconta “I Vivi e i Morti”

procuratore aggiunto Francesco Puleio
Cancello aperto o chiuso, soglia di accesso oppure via di fuga: da lì parte il nuovo romanzo del magistrato-scrittore Francesco Pulejo, I Vivi e i Morti, in arrivo per Navarra. Al centro, l’omicidio di un ginecologo “eccellente” che riporta in scena il commissario Santacroce – già protagonista de La Città del Vento – chiamato a sondare quelle zone d’ombra dove privilegi, colpa e impunità si confondono. Lo racconta l’autore a Laura Distefano in un’intervista per «La Sicilia», chiarendo come l’indagine letteraria agisca da specchio (e da antidoto) al disordine sociale che incontra in toga. «Un modo per distinguere il romanzo – spiega a La Sicilia – dall’ordine di cattura, la scrittura tecnica da quella d’invenzione, in definitiva il dovere dal piacere. E poi, Pulejo era l’antico cogno me del mio bisnonno, originario del messinese, dove di frequente si usa la j».
La “j” resta dunque il tratto che separa la pagina dal fascicolo giudiziario. Ma l’urgenza, precisa lo scrittore, non è professionale bensì narrativa: «Non parlerei di necessità, piuttosto di piacere assoluto nello scrivere. Sono sempre stato un lettore vorace e dalla passione per la lettura è venuta fuori quella per la scrittura e la voglia di raccontare delle storie.» Da magistrato, Pulejo ha vissuto decine di vicende capaci di scavare nell’intimo: trasferirle sulla carta, confessa, è anche «un voler mettere ordine in ricordi oscuri, pulsionali, magari inconsapevoli». È così che nasce la trama: Santacroce, affiancato dal maggiore Trogo, si muove tra studi medici, corridoi di cliniche private, salotti impomatati e periferie invisibili; ogni ambiente diventa tassello di un mosaico dove carnefici e vittime finiscono spesso per scambiarsi i ruoli.
Sul piano tematico, *I Vivi e i Morti* continua l’esplorazione di quella “terra di mezzo” che interseca legge, etica e ambizione. E il titolo, avverte l’autore, non ha nulla di occulto:
«No, nessun richiamo esoterico. Non so no un esperto del sovrasensibile, né mi interessa particolarmente.» L’espressione rimanda piuttosto alla «sottile linea di separazione che divide il giusto dall’ingiusto, il bene dal male», perché – ricordano le pagine del romanzo – sotto lo stesso giudizio siamo tutti, allo stesso tempo, vivi e morti. Pulejo intreccia dunque esperienza giudiziaria e finzione narrativa per restituire un «ordine intellettuale» che la realtà nega di continuo. Ed è proprio nella tensione fra questi due poli – giustizia e colpa, ordine e caos – che I Vivi e i Morti promette di trascinare il lettore: oltre quel cancello di apertura, dove nessuno è del tutto innocente, nessuno davvero colpevole, e la verità assume, irriducibile, il colore mutevole della penombra.