Schifani revoca gli assessori della Dc dopo l’inchiesta di Palermo: “Scelta per tutelare la credibilità delle istituzioni”
Con la revoca delle deleghe agli assessori della Democrazia Cristiana, Renato Schifani imprime una svolta al suo governo e manda un segnale forte: la trasparenza e la credibilità delle istituzioni non si negoziano.
La decisione del presidente della Regione Siciliana di estromettere dalla giunta i due assessori della Democrazia Cristiana – Nuccia Albano e Andrea Messina (entrambi non coinvolti nell’inchiesta) – non è solo un atto politico, ma una presa di posizione netta in un momento in cui l’ombra delle inchieste giudiziarie rischia di oscurare la stabilità del governo regionale. Schifani ha scelto di agire, assumendosi la piena responsabilità di un gesto che segna un confine tra la politica della prudenza e quella della coerenza.
Nel corso di un’intervista rilasciata al vicedirettore de La Sicilia, Mario Barresi, che sarà pubblicata domani sul quotidiano, il presidente della Regione Siciliana parla di una scelta “di carattere squisitamente politico”, maturata per “l’incompatibilità con i principi di legalità e rigore” che ispirano la sua amministrazione. Un’affermazione che, letta tra le righe, evidenzia la volontà di marcare una netta distanza da ogni ambiguità e da qualsiasi contiguità, anche solo percepita, con vicende che potrebbero riflettersi negativamente sulla credibilità dell’esecutivo regionale.
Non è una scelta priva di costi politici. L’uscita della Dc dal governo lascia un vuoto nella coalizione e apre una fase nuova, segnata da equilibri da ricostruire e da un inevitabile riassetto delle deleghe. Ma è anche, e soprattutto, una scelta che restituisce centralità al tema della responsabilità morale di chi amministra la cosa pubblica. In un tempo in cui la politica spesso cerca rifugi tattici, Schifani ha scelto di esporsi, di agire e di assumersi il rischio delle proprie decisioni. Il governatore lo ammette con una nota di amarezza: “Non immaginavo che potesse accadere una situazione simile”. Un riconoscimento umano che accompagna la fermezza istituzionale. È la dichiarazione di chi sa che la guida di un governo comporta anche la solitudine delle scelte difficili. E in questo caso, la coerenza diventa la misura della leadership.
La vicenda di Palermo e la richiesta di arresto per Totò Cuffaro, Saverio Romano e Carmelo Pace non potevano lasciare indifferente il presidente della Regione. L’inchiesta, che scuote il sistema politico siciliano, ha avuto un effetto deflagrante anche negli equilibri interni della maggioranza. Ma Schifani ha scelto di anticipare la giustizia, compiendo un atto politico prima ancora che giudiziario: una linea di rigore che parla ai siciliani più che ai partiti.
Quella del governatore non è solo una risposta all’emergenza, ma un messaggio: la politica può e deve tornare a essere un luogo di credibilità. In tempi di crisi di fiducia, in cui la parola “legalità” rischia di essere svuotata dal suo stesso abuso, la scelta di Schifani appare come una presa di posizione etica prima ancora che politica.
Ora il centrodestra siciliano si trova davanti a un bivio: ridefinire la propria identità e ricompattarsi su valori condivisi o lasciarsi trascinare nel vortice delle contrapposizioni interne. La decisione di Schifani, comunque la si voglia leggere, segna una cesura. È un messaggio di rigore, ma anche di fermezza istituzionale: chi guida un governo deve saper guardare oltre le convenienze del momento, anteponendo il bene comune alle logiche di partito. Il presidente manterrà per il momento le deleghe alla Famiglia e alla Funzione pubblica, in attesa di una nuova ridefinizione dell’esecutivo. Una scelta arrivata dopo una settimana di consultazioni e pressioni politiche: da un lato chi, come Raffaele Lombardo (Mpa), chiedeva un rimpasto complessivo o addirittura l’azzeramento della giunta; dall’altro chi, come Fratelli d’Italia, invocava una decisione mirata, evitando un terremoto politico nell’intera coalizione.
A pesare sulla scelta di Schifani anche alcune nomine giudicate inopportune all’interno della Dc, come i contratti di consulenza a Francesca Donato (vicepresidente nazionale del partito) e Laura Abbadessa (presidente regionale), retribuite dalla Regione pur ricoprendo ruoli di direzione politica. All’interno della Democrazia Cristiana il clima è teso: dirigenti e amministratori locali valutano di abbandonare il partito, mentre la segreteria regionale ha convocato una direzione straordinaria per il 19 novembre a Palermo. In una nota congiunta, il segretario Stefano Cirillo e la presidente Laura Abbadessa hanno ribadito “la volontà di continuare nel solco dei valori popolari e cristiani, servendo la Sicilia con coraggio e rispetto delle istituzioni”.
Intanto, l’inchiesta palermitana entra nel vivo. Domani compariranno davanti al gip i primi otto indagati, tra cui Ferdinando Aiello, Marco Dammone, Mauro Marchese e Paolo Bordonaro. Giovedì sarà la volta di Roberto Colletti e Antonio Iacono, mentre venerdì toccherà ai principali esponenti politici coinvolti: Cuffaro, Pace e Romano. Il giudice dovrebbe decidere sulle richieste di arresto entro le successive 48 ore.
Le persone coinvolte sono da considerarsi innocenti fino a sentenza definitiva di condanna, nel pieno rispetto del principio di presunzione di innocenza. Chiunque voglia esercitare il diritto di replica può farlo nei modi e nei termini.
