Il nuovo scenario in Medio Oriente riaccende il dibattito in Italia: tra il riconoscimento dello Stato di Palestina, la liberazione dei primi ostaggi e le piazze per la pace, il Paese si ritrova davanti a una questione di identità e responsabilità internazionale.

Due anni dopo il 7 ottobre 2023, la guerra tra Israele e Hamas sembra giungere al capolinea. Mentre a Sharm el-Sheikh si prepara il vertice che dovrebbe sancire la fine del conflitto, Roma riflette sul proprio ruolo e sul passo politico più delicato: il riconoscimento dello Stato palestinese. Un atto che non è solo diplomatico, ma identitario. L’esecutivo, finora prudente, ora valuta un’accelerazione dopo che le condizioni fissate da Palazzo Chigi – il rilascio degli ostaggi israeliani e l’estromissione di Hamas dal futuro governo della Striscia – appaiono vicine al compimento.

Lo ha confermato Antonio Tajani, sottolineando che il “nuovo quadro potrebbe accelerare i tempi”. Una frase che suona come un’apertura, mentre la delegazione italiana è già in Egitto per partecipare alla cerimonia organizzata dalla Casa Bianca. Il messaggio politico è chiaro: l’Italia non può restare ferma mentre le principali capitali europee – da Parigi a Londra – si muovono nella direzione dei “due popoli, due Stati”.

Dietro questa scelta si muove anche un calcolo interno. La cautela finora mostrata verso Israele, dettata dal rispetto per un alleato storico, rischiava di alienare una parte crescente dell’opinione pubblica, oggi più sensibile alla causa palestinese. I sondaggi parlano di un’Italia che crede nella pace giusta, non nella vittoria di uno solo. E la “pax trumpiana”, che oggi domina la scena mediorientale, offre al Paese una via per posizionarsi come ponte di equilibrio tra sicurezza e umanità.

La tregua in corso apre anche spazi di cooperazione concreta. Roma intende partecipare alla messa in sicurezza e alla ricostruzione di Gaza, coinvolgendo colossi come Webuild, Ferrovie dello Stato e Autostrade. Ma l’impegno più simbolico sarà quello sanitario, con l’invio di medici italiani e la collaborazione del Bambino Gesù. “Rafforzeremo l’operazione italiana Food for Gaza”, ha annunciato Tajani, ricordando la mobilitazione di Coldiretti e Confcooperative. È un modo per dire che la pace si costruisce anche con il pane e con la cura.

Intanto l’Italia della società civile torna in cammino. La marcia Perugia-Assisi ha richiamato duecentomila persone: famiglie, studenti, sindaci e associazioni. “L’Italia ripudia la guerra. Ora serve il riconoscimento dello Stato palestinese e una pace giusta per altri 50 conflitti nel mondo”, ha detto Elly Schlein, accolta da applausi. Giuseppe Conte ha ribadito che “la bandiera blu dell’Europa si è tinta di verde militare”, denunciando i venti miliardi di spese per la difesa mentre “famiglie e imprese se la passano malissimo”.

Secondo le ultime agenzie, Hamas ha avviato il rilascio dei primi sette ostaggi israeliani, consegnati alla Croce Rossa in due punti della Striscia. Le famiglie li attendono nelle basi di Re’im e Tel Aviv per i controlli medici. A seguire, è previsto lo scambio con 1.950 detenuti palestinesi, in gran parte minori e donne, come confermato dai mediatori di Qatar e Turchia. Tajani ha espresso soddisfazione per “un passo importante verso la pace”, mentre in Italia cresce la pressione per un riconoscimento immediato dello Stato palestinese.

Le bandiere palestinesi sventolano accanto a quelle arcobaleno, e le parole del Papa risuonano tra i manifestanti: “La pace si fa con corpi e voce”. È un’Italia che riscopre il valore del dissenso, che rifiuta l’idea che chiedere pace significhi schierarsi contro qualcuno. E che chiede ai propri governanti di tornare al linguaggio della diplomazia, non della paura.

Forse non sarà una conferenza internazionale a cambiare il corso della storia, ma il Paese che marcia da Perugia ad Assisi ricorda a tutti che la pace, prima di essere firmata, deve essere sentita. In questo senso, la sfida dell’Italia non è solo politica: è morale. Riconoscere lo Stato di Palestina significherebbe riportare il Paese dentro la storia, dalla parte della pace possibile.