Condannato a 16 anni e 2 mesi Pietro Capuana, ex guida spirituale della comunità di Lavina di Aci Bonaccorsi. Pene severe anche per tre collaboratrici, riconosciute colpevoli di abusi su minori. Il legale annuncia ricorso in appello.

CATANIA – Il Tribunale di Catania ha pronunciato la sentenza sul caso “12 Apostoli”, l’inchiesta che nel 2017 scosse l’opinione pubblica nazionale. Il cosiddetto “santone” Pietro Alfio Capuana, 79 anni, è stato condannato a 16 anni e 2 mesi di reclusione per abusi sessuali su minorenni commessi all’interno della comunità di ispirazione cattolica “Lavina”, ad Aci Bonaccorsi, dove ricopriva il ruolo di guida spirituale. Secondo la Procura etnea, gli abusi sarebbero stati presentati come “atti di purificazione” compiuti da un presunto “arcangelo reincarnato”, plagiando le giovani vittime.

Accanto a lui, sono state condannate le tre collaboratrici: Fabiola Raciti a 15 anni e 2 mesi, Rosaria Giuffrida a 9 anni e 4 mesi, e Katia Concetta Scarpignato a 7 anni. Tutti e quattro gli imputati sono stati assolti da alcuni capi d’imputazione, ma dovranno affrontare anche dure pene accessorie. Il collegio giudicante, presieduto da Santino Mirabella con le giudici Cristiana Scalia e Mariaconcetta Gennaro, ha stabilito anche il risarcimento dei danni per le parti civili, tra cui la Diocesi di Acireale e diverse associazioni antiviolenza, tra cui Thamaia, Galatea, Penelope, Città Felice e Telefono Rosa Bronte.

I giudici hanno inoltre disposto per i quattro imputati l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e da qualsiasi incarico in scuole o strutture frequentate da minorenni, insieme al divieto di avvicinarsi per due anni, dopo l’espiazione della pena, a luoghi abitualmente frequentati da minori e l’obbligo di informare la polizia giudiziaria sui propri spostamenti e sulla residenza.

Presenti in aula le vittime, che si sono abbracciate commosse dopo la lettura del dispositivo, e la pm Anna Maria Ciancio, subentrata ad Agata Consoli dopo la nomina di quest’ultima alla Procura Generale.  L’inchiesta della Polizia Postale nacque nel 2017 dalla denuncia di una madre, la quale aveva scoperto il cosiddetto “rito purificatore” a cui la figlia – oggi adulta e madre a sua volta – sarebbe stata sottoposta. Secondo l’accusa, le ragazze venivano plagiate per accettare rapporti con Capuana, che si sarebbe presentato come una sorta di divinità, imponendo “turni” nella sua abitazione a Motta Sant’Anastasia, sede dell’associazione Acca, luogo dove si sarebbero consumati gli abusi.

Durante l’udienza, il legale di Capuana, Mario Brancato, aveva sollevato un’eccezione sulla composizione del collegio, poi rigettata. L’avvocato, che due settimane fa aveva presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) denunciando «gravi violazioni dei diritti fondamentali e la mancanza di un giudizio realmente imparziale», ha annunciato l’intenzione di appellare la sentenza «nella ferma convinzione che la sede superiore possa esaminare ogni elemento documentale e testimonianza esclusa, restituendo così piena dignità al diritto di difesa e alla ricerca della verità». «Con fiducia nella giustizia – ha aggiunto – continueremo a perseguire la verità con chiarezza, rigore e rispetto dei principi fondamentali dello Stato di diritto».

Il Tribunale ha inoltre disposto la trasmissione degli atti alla Procura nei confronti di dieci testimoni del dibattimento per «i reati che verranno ritenuti». Gli imputati sono stati condannati anche al pagamento delle spese legali e al risarcimento, da liquidarsi in separata sede, alle quattordici parti civili costituite nel processo.