Motociclisti “particolari”: la filosofia delle trazzere, tra pane caldo e tornanti
C’è un bar ideale dove l’odore di benzina convive con quello del caffè e le storie scorrono come una strada vista dal casco. È il bar di “Motociclisti da bar”, il podcast inventato da Peppe Pagano, motoviaggiatore con migliaia di chilometri alle spalle e un’idea semplice: sedersi a chiacchierare di moto e di vita, senza gerarchie. «Puoi essere un pilota o un neofita, ma resti un motociclista con una storia da raccontare», ripete Pagano. La puntata va su YouTube, sul canale Motoexplora Italy official, ma potrebbe svolgersi ovunque: al bancone di una stazione di servizio, in una piazza assolata, all’ombra di un capannone.
Oggi parliamo di motociclisti “particolari”. Che vuol dire? Vuol dire gente che la moto non la usa soltanto per andare dal punto A al punto B, ma come strumento per inseguire ciò che normalmente sfugge: l’impossibile. L’ospite è un amico di vecchia data, Francesco Lamiani, per tutti “Ciccio”. «Il mondo intero mi chiama Ciccio – racconta – persino mia madre, che non c’è più, mi chiamava così. Solo lei usava il nome Francesco».
Ciccio è uno di quelli che trasformano un tragitto di 30 chilometri in un’avventura da 140. Non per errore, ma per metodo. «La motocicletta serve a raggiungere posti inconsueti, a scoprire persone che altrimenti non incontreresti mai», dice. La sua filosofia si riassume in tre parole – trazzere, trattorie e tradizione – tre “T” che sono una dichiarazione di intenti: imboccare strade secondarie, cercare tavole semplici, riconoscere l’anima dei luoghi nei gesti quotidiani. «Se una strada esiste, porta sempre da qualche parte. Cammini, cammini, e alla fine trovi qualcuno. Magari ti apre la porta, magari ti insegue per capire chi sei. Ma una storia, alla fine, la trovi sempre».
La storia che Ciccio racconta con più affetto nasce in Sicilia, nel sud-est, dalle parti di Noto. «La moto ha bisogno di impolverarsi», premette. Una sterrata, il vento che sposta la polvere, il caldo che batte. Poi, all’improvviso, un borgo. A bloccare i due viaggiatori un ragazzo robusto: «Chi siete? Dove andate?». La risposta è una scusa: «Cerchiamo un agriturismo». La replica è un invito: «Io e mia nonna stiamo infornando il pane, facciamo ricotta e formaggi. Venite a mangiare a casa nostra». È l’istante in cui l’itinerario diventa incontro.
Quel ragazzo si chiama Salvatore. Aveva sedici anni allora; oggi ne ha venti. Di mattina fa il pastore, il pomeriggio studia matematica all’università. «Sembra una storia degli anni ’50, e invece è di oggi – dice Ciccio -. Ogni volta che torniamo, ci regala ricotta, pane, pomodori. È un legame semplice, umano, vero». In mezzo scorrono altri frammenti: un Ferragosto sui Nebrodi che si trasforma in una trattoria all’aperto, la provola impiccata sciolta lentamente sul fuoco e il pane passato sotto come un rito antico; la consapevolezza che il viaggio non è accumulare chilometri, ma condividere.
La conversazione con Pagano tocca la tecnica e la poesia. Si scherza su un “tornante” spiegato con un salame piegato “all’angolo giusto”, si ragiona di cerchi da 21” e 19”, di Africa Twin e GS: moto versatili, forse non le migliori in assoluto in nulla, ma capaci di fare tutto bene, soprattutto se si cerca strada più che performance. E si parla del senso profondo della guida: «La moto è una solitudine affollata. Sei solo, ma circondato da paesaggi, voci, odori. A volte ti senti grato al mondo soltanto per averti concesso quella curva, quella luce, quel tratto di silenzio».
Qui sta la cifra del podcast: democratico per scelta, aperto per vocazione. Pagano ascolta e rilancia; non cerca il colpo di scena, ma la verità piccola che ogni motociclista si porta dentro: la voglia di restare bambini, curiosi, senza pregiudizi, capaci di mettere allo stesso tavolo un filosofo e un meccanico, un medico e un pastore. Perché «due ruote sono una moto», e ogni moto – dalla Vespa alla maxi-enduro – è un passaporto per le persone.
Alla fine resta un invito, anzi due. Il primo è pratico: segnalare luoghi dove si mangia bene, ovunque, «dalla zia Maria Salsiccia in su», perché la geografia emotiva dei motori passa spesso dalla tavola. Il secondo è una dichiarazione d’amore: «Non c’è posto migliore dell’Italia per viaggiare e mangiare. Sarò di parte – dice Ciccio – ma ne sono orgoglioso».
Ecco allora cos’è un motociclista “particolare”: uno che, piegando in un tornante o imboccando una trazzera, sa che la meta non è mai il punto sul navigatore, ma l’incontro che non avevi programmato. Il resto – la polvere, il pane caldo, la ricotta fresca, le risate al bar – sono dettagli che diventano memoria. In fondo, come insegna Motociclisti da bar, la strada più bella è quella che ti porta alle persone.
Dall’esperienza di questi viaggi e di questi incontri nasce il libro di Francesco Lamiani: Nella terra del tempo sospeso. La leggenda dell’isola senza orologio. Marettimo diventa il cuore di un romanzo sospeso tra realtà e suggestione. Lamiani racconta una comunità che resiste al tempo, tra tradizioni marinare, memorie familiari, emigrazione e ritorni. Al centro, la leggenda di un orologio mai arrivato dall’America, simbolo di un tempo trattenuto tra passato e presente. Con una scrittura intensa e poetica, l’autore restituisce l’anima autentica dell’isola come luogo dell’anima e metafora universale: identità, radici, modernità. Un libro che emoziona e fa riflettere, ideale per chi ama la Sicilia più intima e le storie che intrecciano mito e realtà.