Messina Denaro, il boss invisibile tra cliniche, tatuaggi e vacanze
Matteo Messina Denaro
Le ultime tracce di Matteo Messina Denaro riportano a Palermo e alla sua provincia, luoghi frequentati dal boss fino agli ultimi mesi di latitanza. Il capomafia trapanese, nonostante fosse tra i più ricercati d’Europa, si muoveva con una certa disinvoltura tra studi medici, abitazioni di comodo e località balneari. Secondo le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Teresa Principato, Messina Denaro poteva contare su una rete di fiancheggiatori che ne garantiva la protezione. Un esempio è l’appartamento di via Milwaukee 40 ad Aspra, in una palazzina anonima, dove già nel 1997 venne indicata la sua possibile presenza. Qui avrebbe soggiornato Maria Mesi, condannata per favoreggiamento del boss, e proprio in quella zona i poliziotti seguirono le sue tracce.
Gli inquirenti hanno ricostruito come, fino al 2021, il latitante fosse riuscito a condurre una vita quasi normale, sottoponendosi a cure mediche e recandosi perfino in cliniche private. Veniva accompagnato da persone insospettabili: un ex dipendente comunale, il medico di base che gli ritirava referti e farmaci, ma anche conoscenti che lo scortavano in uscite al mare o in ristoranti. Dettagli che emergono anche dalle dichiarazioni raccolte: «Sempre quella vita ho fatto», avrebbe detto a chi lo interrogava sul significato dei tatuaggi che portava sul corpo. Fra i simboli incisi, un’aquila stilizzata e la data in numeri romani “VIII X MCMLXXX”, oltre ad altre figure di difficile interpretazione.
Non solo tatuaggi. Messina Denaro si era rivolto a un dentista di Palermo, a un dermatologo di Bologna e a un tatuatore di Bagheria senza che nessuno riconoscesse il boss. Un segnale della normalità con cui riusciva a muoversi protetto dalla sua rete.
Perfino nel 2020, quando la malattia aveva già inciso sulla sua salute, riuscì a passare un periodo di villeggiatura a Lampedusa, accompagnato da una donna e presentandosi come un comune turista. Il quadro delineato dalle indagini è quello di un superlatitante capace di mantenere abitudini ordinarie, tra cure mediche, uscite pubbliche e vacanze, mentre lo Stato era alla sua ricerca. Una quotidianità garantita da complicità diffuse che restano oggi al centro delle verifiche degli investigatori.