Dal vertice di Palazzo d’Orléans emerge una tregua precaria: nuovi attriti tra Lombardo e Cuffaro. Schifani cerca la quadra, ma il futuro politico in Sicilia resta aperto.
Nel suo articolo pubblicato oggi sul quotidiano La Sicilia, Mario Barresi ricostruisce con dovizia di particolari il delicato vertice di maggioranza che si è svolto a Palazzo d’Orléans, definendolo “un mezzogiorno di fuoco” tra promesse di coesione e vecchie diffidenze mai sopite.
Il presidente della Regione, Renato Schifani, dopo la tempesta sulla manovra-quater, ha cercato di ricucire lo strappo all’interno del centrodestra siciliano, lanciando un “patto di legislatura” e aprendo a un tavolo tecnico-politico che coinvolga anche i deputati regionali.
Schifani sarebbe riuscito a “narcotizzare la crisi politica più grave dall’inizio della legislatura”, ma la tregua resta fragile.
Il governatore ha incassato il sostegno di Lega, Fratelli d’Italia e Dc, ma resta aperto il nodo dell’assessorato alla Salute, con la conferma di Salvatore Iacolino alla direzione del dipartimento Pianificazione Strategica della Sanità – scelta fortemente voluta da Schifani e contestata da Fratelli d’Italia, che continua a considerarla uno dei punti più controversi dell’attuale assetto di maggioranza.
Alla fine, tuttavia, non è arrivata una nomina piena: per Iacolino è stata firmata soltanto una proroga di due mesi, soluzione provvisoria che lascia intendere come la questione resti tutt’altro che chiusa.
Sul piano politico, si mette in luce anche la crescente irritazione del leader autonomista Raffaele Lombardo, che non avrebbe gradito l’asse siglato tra Lega e Dc, percepito come un tentativo di marginalizzare il suo movimento.
Eppure, ricordiamo che fu proprio Lombardo il primo a stringere un accordo con la Lega di Salvini, salvo poi, alla vigilia delle elezioni, scegliere di sostenere Caterina Chinnici nelle liste di Forza Italia, rompendo quel patto.
A riaccendere il confronto sarebbe stato Totò Cuffaro, che – come riportato nell’articolo oggi in edicola – avrebbe replicato con toni polemici ricordando a Lombardo “la sconosciuta coerenza”, alludendo agli accordi che, secondo lui, gli autonomisti avrebbero stretto alle ultime elezioni provinciali con Pd e M5S.
Uno scambio che fotografa bene il clima di tensione e diffidenza che ancora serpeggia all’interno della coalizione. Barresi evidenzia come il vertice sia stato un compromesso “più tecnico che politico”, utile a evitare nuove fratture interne ma lontano da una vera stabilità.
La Sicilia resta, così, un laboratorio di equilibri precari, dove le “ferite aperte” nella coalizione di centrodestra vengono solo momentaneamente coperte, in attesa della prossima resa dei conti.
Alla fine, restano proprio i veterani della politica siciliana – Lombardo e Cuffaro – a conoscere davvero le regole non scritte dell’Assemblea e i tempi della mediazione, forse gli unici in grado di uscire da questo impasse senza troppi scossoni.
Schifani, da leader romano abituato ai palazzi del potere più che ai giochi tattici di Palermo, oggi avrà capito che in Sicilia serve una strategia diversa: non basta l’amministrazione, serve la visione. Non bastano i numeri, serve la politica.
Una politica che non guardi solo alla sopravvivenza, ma a risultati capaci di far tornare la Sicilia motore del Mezzogiorno e non coda dello Stivale.
La quadra, prima o poi, si troverà – come sempre accade. Ma la vera domanda è: fino a quando?