Antonio Lo Re
C’è una Sicilia che non si accontenta di stare ferma e che riesce a trasformare un passatempo in lavoro e il lavoro in passione. È la Sicilia di Antonio Lo Re e Girolamo Sidoti, due amici che da una mansarda piena di bottiglie scoppiate hanno tirato fuori l’idea di un birrificio ai piedi dell’Etna. Qui, dove il vulcano segna tutto con la sua presenza, anche una birra diventa racconto di territorio.
«Ero appassionato di acquari – ricorda Lo Re – e lessi che qualcuno usava la CO₂ prodotta dalla fermentazione della birra per far crescere le piante. Mi incuriosii subito: in che senso la CO₂ della birra? Da lì ho cominciato a fare prove in casa, anche quando non avevo ancora l’età per berla». Non era semplice: zucchero messo male, bottiglie che esplodevano, tanta improvvisazione. Ma anche tanta ostinazione: in quelle prime cotte casalinghe c’era già il seme di un mestiere futuro.
Poi sono arrivati gli studi in Scienze e Tecnologie Alimentari, la tesi sulla birra, i macchinari per analizzarla, le esperienze in giro – in un brew pub siciliano, a Torino, in Belgio, in Germania. Finché con Sidoti è arrivato il passo che cambia tutto: un finanziamento, un impianto, e il sogno che diventa azienda. «Siamo partiti con tre birre, adesso ne produciamo undici – racconta – e piano piano ci siamo tolti le nostre soddisfazioni: dall’invito al Pils Pride di Milano fino alle collaborazioni con birrifici americani e olandesi».
Oggi il birrificio ha il suo cuore a Mascalucia, con un Beer Garden che d’estate diventa un punto di ritrovo fisso. Non solo produzione, ma esperienza: bere la birra lì dove nasce, circondati dall’Etna. «Abbiamo questo giardino dove si può mangiare e bere accanto all’impianto, ed è un appuntamento che la gente aspetta ogni anno».
Il segreto, dice Lo Re, sta nell’acqua. «È il 95% del prodotto e fa davvero la differenza. Anche con la stessa ricetta, una birra prodotta qui non sarà mai uguale a una prodotta altrove».
La produzione si muove su diversi stili, ma il birrificio ha ormai un tratto distintivo: le basse fermentazioni, le lager e le pils d’ispirazione tedesca. Due etichette su tutte: la Schetta, una pils dal carattere netto e cristallino, e la Fumusa, una rauch affumicata che in Sicilia è una rarità. «Sono le birre che ci hanno dato più soddisfazioni – spiega – la Pils in particolare ci ha portati al Pride di Milano, insieme ad altri 19 produttori italiani».
Eppure l’obiettivo non è solo produrre: è costruire una filiera vera e propria. «In Sicilia siamo grandi produttori di cereali – dice – ma non abbiamo ancora un malto interamente siciliano. Ci si sta lavorando, ed è una sfida che darebbe un valore enorme a tutto il comparto».
Un tempo la tavola siciliana parlava quasi soltanto la lingua del vino. Oggi la birra artigianale conquista spazi, si infila negli abbinamenti, trova nuove occasioni. «Prima la faceva da padrone il vino – riflette – ma ormai la birra non ha nulla da invidiare: ti permette di spaziare negli accostamenti e racconta il territorio in un modo autentico». La crescita del movimento brassicolo siciliano è evidente: festival, mercati e rassegne portano alla ribalta decine di produttori, creando comunità e nuove opportunità. Intanto le istituzioni studiano marchi collettivi e portali digitali per valorizzare le produzioni isolane. «Una vita non basterebbe per provare tutte le birre – sorride Lo Re – ogni stile ha le sue caratteristiche, ed è un mondo vastissimo. Ma noi ci proviamo, ogni giorno, con la stessa passione di quando ho iniziato in mansarda».
Così, tra nuove cotte e serate al Beer Garden, Lo Re e Sidoti portano avanti una storia che sa di malto e di Etna. Una storia che dimostra come persino da una bottiglia esplosa possa nascere un futuro dal gusto sorprendente.