Catania non è più la città degli anni Novanta, «quando il sangue scorreva a fiumi», ma la percezione di insicurezza resta alta: è quanto emerge da un’intervista al procuratore aggiunto Fabio Scavone, che coordina i reati contro la persona e il patrimonio, pubblicata stamattina dal quotidiano La Sicilia. Scavone parte da un dato di contesto: «Catania si contraddistingue, al di là delle statistiche, per un elevato tasso di reati contro il patrimonio, non solo elevato dal punto di vista quantitativo ma soprattutto diversificato». Tra i fenomeni più diffusi, il furto di componenti di auto: «Dopo le marmitte catalitiche, oggi rubano gruppi ottici e sportelloni di specifici modelli». A complicare il quadro, l’effetto della riforma Cartabia: «La procedibilità a querela nei furti espone la vittima a pressioni per la remissione, con condizionamenti anche sottili. In contesti come il nostro prima ci si sentiva più tutelati dall’azione d’ufficio».
Capitolo truffe: «Stanno avendo una larga diffusione le truffe telefoniche che colpiscono soprattutto gli anziani, facendo leva su emotività e solitudine. La “cauzione” per uscire dal carcere esiste negli Stati Uniti, non in Italia. E poi c’è la grande platea delle truffe via internet».
Sulle violenze recenti – risse, accoltellamenti, sparatorie – Scavone parla di «uso della violenza impressionante»: liti di viabilità o contenziosi condominiali che degenerano «fino ad azioni punitive». Il riferimento è a quartieri fragili, dove «il tessuto sociale si è degradato» e si ripropone, «in parte», un paradigma “alla Gomorra”. Quanto alla circolazione di armi, «a Catania c’è sempre stata»: negli anni Ottanta «eravamo in testa per omicidi quasi sempre con armi da fuoco». Ma oggi, più che risposte solo repressive, «servono correzioni di natura sociale, educativa e formativa».
L’esperienza investigativa lascia segni profondi: Scavone ricorda di essersi occupato di fatti di sangue «che ti segnano prima come uomo e poi come professionista». E allarga lo sguardo alla giustizia: «Non faccio il magistrato, sono magistrato». Dalla stagione delle stragi («conobbi Borsellino, fu una generazione scossa dalle fondamenta») alle riforme odierne: «Ora si ritiene che la separazione delle carriere sia la soluzione di tutti i mali. Non lo è». Per il procuratore, il sistema va affrontato «in modo prismatico, come il cubo di Rubik: non si può risolvere solo una faccia dimenticando le altre». E avverte contro la lettura distorta dei dati: «C’è chi cita l’alto tasso di assoluzioni come guasto del sistema. In realtà dimostra che non c’è appiattimento sulle tesi accusatorie e che il giudice esercita la propria autonomia, assolvendo quando deve».
La sintesi è netta: meno sangue e meno omicidi di un tempo, ma un’illegalità diffusa che muta forma (furti su veicoli, truffe, violenze “banali”) e una percezione di insicurezza che si alimenta di vulnerabilità sociali. La risposta, conclude Scavone, non può essere solo penale: va tenuta insieme con politiche di prevenzione, educazione e coesione nei quartieri più fragili.