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Catania, il paleontologo Chiarenza al Festival delle Parrocchie

Al Teatro Metropolitan di Catania torna il Festival delle Parrocchie, giunto alla quarta edizione. Ospite d’eccezione il paleontologo Alessandro Chiarenza, che riflette sul rapporto tra uomo e natura, sull’etica della conoscenza e sulla responsabilità verso il futuro del pianeta.

CATANIA – Torna al Teatro Metropolitan di Catania il Festival delle Parrocchie, giunto alla sua quarta edizione, in programma il 14 novembre alle ore 21:00. L’evento, promosso dall’Associazione Atacanì APS, quest’anno si lega al tema del Giubileo e al valore della dedizione, mettendo al centro il rapporto tra l’uomo e la natura. Tra gli ospiti, il paleontologo Alessandro Chiarenza, che attraverso la sua esperienza personale e scientifica offre uno sguardo profondo sulla memoria del pianeta e sul significato contemporaneo della scienza.

«Da bambino rimasi incantato dagli speciali di Piero e Alberto Angela sui dinosauri: per me fu una rivelazione, il momento in cui immaginai un futuro da paleontologo», racconta Chiarenza. «Quella curiosità non si è più spenta: prima i giochi, poi i libri, quindi gli studi in Scienze Naturali a Catania, la laurea magistrale a Bologna in Biodiversità ed Evoluzione e infine il dottorato in Paleontologia a Londra. Anni dopo ho avuto anche il piacere di incontrare Alberto Angela e lavorare con lui e la sua squadra: un cerchio che si chiude. Oggi attribuisco al mio lavoro un significato che va oltre il passato: la paleontologia è la memoria profonda del pianeta. Ci offre prospettiva, misura i tempi dei grandi cambiamenti e ci ricorda che siamo parte di una storia naturale molto più lunga di noi. Questo sguardo lungo aiuta la società a prendere decisioni più informate su clima, biodiversità e uso delle risorse, e alimenta un senso di responsabilità verso ciò che possiamo ancora proteggere».

Un messaggio di equilibrio e consapevolezza che richiama il tema centrale dell’edizione 2025 del Festival, dedicata al valore della creazione e al rispetto del Creato. «La storia della vita sul nostro pianeta ci insegna innanzitutto l’umiltà», spiega Chiarenza. «In poco più di mezzo miliardo di anni di evoluzione delle forme pluricellulari, e in circa 3,5 miliardi di anni dalle prime tracce di vita, la natura ha prodotto “infinite forme, bellissime e meravigliose”, per citare Darwin. Collocare l’umanità nella dimensione del tempo profondo — che non si misura negli 80 anni di una vita umana ma in centinaia di milioni, se non miliardi, di anni — significa riconoscere scale temporali che hanno visto vivere ed estinguersi miliardi di specie e un’infinità di ambienti. Questo ridimensiona l’idea di eccezionalità umana e mette al centro la relazione con la natura che ci circonda».

Il paleontologo sottolinea anche la portata culturale di questa prospettiva, che «sposta l’uomo dal centro della creazione a uno dei tanti nodi interconnessi dell’immensa rete che è la biosfera del nostro pianeta». I fossili, aggiunge, «mostrano che la varietà di specie odierne è solo una piccolissima frazione di tutte quelle che sono esistite: si stima che oltre il 99% delle specie del passato sia oggi estinto. Senza i fossili, immagineremmo le possibilità della vita basandoci solo su quell’1%. Comprendere questa parentela universale non ci sminuisce; al contrario, accresce meraviglia e senso di cura».

Chiarenza evidenzia poi come lo studio del passato possa fornire strumenti concreti per affrontare le sfide ambientali attuali: «Il passato è un laboratorio naturale di crisi e adattamenti, di cui troviamo traccia nei fossili e nelle rocce che li preservano. Studiando estinzioni, migrazioni, riorganizzazioni degli ecosistemi ed episodi antichi di riscaldamento climatico, la paleontologia ci insegna tre cose fondamentali: primo, contano i ritmi oltre alle magnitudini; anche quando il pianeta ha vissuto climi più caldi o vaste glaciazioni, i cambiamenti sono avvenuti spesso più lentamente di oggi. Secondo, esistono regolarità e soglie critiche da conoscere e comprendere: le crisi non colpiscono tutte le specie allo stesso modo. Terzo, il tempo è la valuta dell’evoluzione: rallentare il cambiamento offre alla biodiversità margini per adattarsi o spostarsi».

Un pensiero che si collega a un’etica della cura e della giustizia sociale: «È importante capire che senza rispetto dell’ambiente e del sistema naturale in cui viviamo non può esserci rispetto per l’altro né giustizia sociale», conclude Chiarenza. «Chi si impegna davvero a comprendere la natura, mettendo a disposizione di tutti strumenti per capirla, amarla e proteggerla, offre un servizio prezioso non solo a se stesso ma anche al prossimo. Custodirne l’esistenza è, oggi, parte del nostro compito».

Un intervento che, nel contesto del Festival delle Parrocchie, assume un valore simbolico e formativo, invitando il pubblico a riscoprire la connessione tra scienza, fede e responsabilità collettiva.

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Published by
Redazione