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Cassazione conferma il licenziamento per aver definito “leccaculo” il capo

I giudici della Terza Sezione Lavoro della Cassazione, con ordinanza depositata il 29 luglio 2025, hanno respinto il ricorso di B.M.P., confermando la legittimità del licenziamento scattato il 28 novembre 2018 dopo che la dipendente aveva apostrofato il proprio superiore come “leccaculo”. Il Tribunale di Catania, nel 2019, aveva annullato la sanzione ritenendola sproporzionata rispetto a un episodio isolato, ma la Corte d’Appello di Catania aveva ribaltato quella decisione, qualificando l’insulto come giusta causa ai sensi del contratto nazionale di lavoro, che prevede il licenziamento per litigi di particolare gravità, ingiurie e grave insubordinazione. La Cassazione ha ritenuto provati elementi aggravanti, quali l’ingiuria pronunciata in reazione a un ordine gerarchico, alla presenza di un’altra collega, e l’atteggiamento di sfida verso l’autorità, oltre a un precedente disciplinare a carico della lavoratrice e all’assenza di qualsiasi prova di disagio psicofisico che potesse attenuare la condotta. La pronuncia ribadisce che la fiducia reciproca tra datore di lavoro e dipendente è fondamentale e che comportamenti tali da comprometterla irrimediabilmente costituiscono giusta causa di licenziamento.

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Redazione