Le tensioni nella maggioranza tornano a farsi sentire dopo il terremoto politico della manovra-quater. Al centro dello scontro, ancora una volta, la sanità regionale e la nomina del manager Salvatore Iacolino. Secondo la ricostruzione pubblicata questa mattina da Repubblica, la vicenda rischia di aprire un nuovo fronte nel centrodestra guidato da Schifani.
PALERMO – Le scosse non si sono fermate. Dopo il crollo numerico della maggioranza all’Ars durante la discussione della manovra-quater, la faglia del centrodestra torna a muoversi, e il terreno più instabile resta quello della sanità. C’è chi, con un certo ottimismo di maniera, parla di assestamento fisiologico della coalizione. Ma la sensazione diffusa, nei corridoi del Parlamento siciliano, è che la nuova frattura sia solo il preludio di un altro terremoto politico.
Tutto accade nel giro di pochi minuti, in commissione Affari istituzionali, dove viene approvato il pacchetto di nomine di sottogoverno per enti parco, consorzi universitari e istituti autonomi case popolari. La maggioranza, numericamente solida, porta a casa il via libera. Ma quando il capogruppo autonomista Roberto Di Mauro chiede di inserire all’ordine del giorno anche le nomine di Salvatore Iacolino alla Pianificazione strategica e di Alberto Firenze all’Asp di Palermo, il presidente della commissione, Ignazio Abbate (Dc), si oppone con un “no” secco. «Si procederà secondo il cronoprogramma già definito», taglia corto. Tradotto: di Iacolino non si parla, almeno per ora.
Un rinvio che, secondo la ricostruzione de la Repubblica, nasconderebbe più di una prudenza procedurale. Dietro la decisione di Abbate, infatti, molti intravedono un messaggio arrivato direttamente da Palazzo d’Orléans. Perché il nome di Iacolino continua a dividere: un asse trasversale che attraversa Fratelli d’Italia, Autonomisti e una parte di Forza Italia punta a rimettere in discussione la legittimità della delibera di proroga del 3 ottobre, con cui è stato confermato nel ruolo di manager della Sanità regionale.
Il nodo è giuridico, ma anche politico. Alcuni deputati rispolverano un decreto legislativo del 2013, secondo cui non può ricoprire l’incarico di manager dell’Asp chi, nei tre anni precedenti, abbia fatto parte della giunta o del consiglio regionale o abbia ricoperto ruoli di controllo in enti pubblici legati al sistema sanitario. In sostanza: chi era “controllore” non può diventare “controllato”. Un principio che, se applicato, rimetterebbe tutto in discussione.
Dall’altra parte, i cosiddetti “lealisti” della coalizione difendono la scelta, sostenendo che un eventuale trasferimento di Iacolino da Piazza Ottavio Ziino all’Asp di Palermo sarebbe pienamente legittimo e coerente con la normativa vigente. Ma il confronto, più che tecnico, è politico. E riflette una maggioranza spaccata tra chi intende seguire la linea del presidente Renato Schifani e chi, invece, cerca di ridisegnare gli equilibri interni alla sanità, vero terreno di potere della Regione.
La tensione è palpabile. E cresce in vista di lunedì prossimo, quando Schifani presenterà ai partiti alleati la prima bozza della nuova legge di stabilità, ancora top secret. Un ddl che promette scintille, tra tagli e redistribuzioni, e che potrebbe diventare il nuovo banco di prova della tenuta della coalizione. Nel frattempo, la Democrazia Cristiana di Totò Cuffaro rilancia la proposta di abolire il voto segreto prima dell’apertura della sessione di bilancio, nel tentativo di evitare altri “franchi tiratori” e nuovi incidenti di percorso.
Ma l’ironia, in molti ambienti parlamentari, è che anche questa iniziativa – paradossalmente – potrebbe finire bocciata proprio con un voto segreto. La Sicilia politica, ancora una volta, conferma il suo paradosso: cambiare tutto per restare sempre uguale.
Una ricostruzione complessa, che – come riportato oggi da Repubblica – mette in luce la fragilità di una maggioranza costretta a fare i conti con la sua instabilità strutturale, più che con le opposizioni.