
Da Carofiglio a Gratteri, da Ardita a Gomez, cresce il fronte critico contro la riforma della giustizia approvata dal Parlamento e attesa al referendum confermativo. Le voci di giuristi e magistrati uniscono un allarme comune: “Non renderà i processi più rapidi, ma più confusi e meno indipendenti”.
Nel dibattito sulla riforma che separa le carriere tra giudici e pubblici ministeri, la linea di confine non corre più solo tra destra e sinistra, ma tra chi difende il principio costituzionale dell’autonomia della magistratura e chi, al contrario, immagina un sistema più controllabile dalla politica. La legge* – che modifica il Titolo IV della Costituzione – prevede due Consigli Superiori della Magistratura distinti, un’Alta Corte disciplinare e una separazione formale delle carriere. Ma dietro la promessa di efficienza si intravede, secondo molti, un indebolimento strutturale della giustizia italiana.
«È una riforma costruita in bilico tra dilettantismo e demagogia», ha detto Gianrico Carofiglio in un’intervista, definendola “una mistura di incompetenza e malafede”. L’ex magistrato e senatore mette in guardia dal rischio di una giustizia “più capace di generare ingiustizia”. Il punto più critico, spiega, è l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare: «Un organo che giudica e si autogiudica, in cui la politicizzazione rischia di sostituire il diritto. È un colpo diretto all’indipendenza dei giudici».
Sulla stessa linea, il procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita ha definito la riforma «un fiocco su uno scatolo vuoto»: un intervento di facciata che non accelera i processi, ma allontana il pubblico ministero “dalla cultura del giudice e della giurisdizione”. Insieme al direttore del Fatto Quotidiano, Peter Gomez, Ardita ha sottolineato come il referendum rischi di ridurre un tema complesso a uno slogan semplice: “Vuoi che il pm sia terzo come il giudice?”. Una domanda apparentemente ovvia, ma profondamente fuorviante. «La giustizia non è semplice – avverte Gomez – e chi la riduce a uno slogan, la travisa».
Il pericolo, spiegano entrambi, è duplice: da un lato creare una magistratura “separata e politicizzata”, dall’altro un pubblico ministero dipendente, anche psicologicamente, dal potere esecutivo. «In Portogallo – ricorda Ardita – dove il modello è stato sperimentato, i pm sono diventati attori politici. Si promuovono, comunicano, cercano consenso mediatico. È il contrario della giustizia».
Lo stesso Nicola Gratteri, procuratore capo di Napoli, ha espresso una posizione netta: «Questa riforma non nasce per rendere la giustizia più efficiente, ma per rendere i magistrati più controllabili». E aggiunge: «Il rischio è quello di creare magistrati burocratici, rassegnati, che evitano di toccare interessi forti per quieto vivere. Una giustizia senza coraggio è una giustizia inutile». Il magistrato calabrese denuncia inoltre l’assenza di risorse e investimenti: «Abbiamo assunto dodicimila dipendenti precari per aiutare i giudici, ma non sappiamo se verranno stabilizzati. Così i processi non potranno mai essere più rapidi».
Gratteri si sofferma anche sulla questione culturale: «Quando si parla di giustizia bisogna parlare chiaro. Gli italiani devono capire che questa non è una riforma della giustizia, ma del potere. Chi governa, qualunque sia il colore politico, non vuole essere disturbato». La sua analisi si allarga anche ai grandi temi del Sud e delle priorità infrastrutturali: «Parliamo di ponte sullo Stretto, ma in Calabria e in Sicilia ci sono ancora ferrovie a gasolio e paesi senz’acqua. Quella sì che è un’emergenza».
Nel frattempo, l’Associazione Nazionale Magistrati si prepara a una mobilitazione senza precedenti. Il presidente Cesare Parodi ha annunciato un grande evento nazionale a Roma e un possibile confronto televisivo con il ministro della Giustizia Carlo Nordio, promotore della riforma. «Il clima non è bello, sono tempi brutti» ha detto, accusando il governo di voler «condizionare la magistratura e screditarla agli occhi dei cittadini».
Il referendum sarà, dunque, una sfida non solo politica ma civile. «Non ci sarà un solo processo che durerà un giorno di meno – ha ribadito Carofiglio. Il guadagno per i cittadini sarà zero. È una riforma che dice una cosa e ne fa un’altra». Parole che suonano come un monito: la giustizia non è materia per slogan, ma il cuore pulsante della democrazia. E una democrazia, quando inizia a indebolire i suoi anticorpi, rischia di ammalarsi in silenzio.
*La riforma della giustizia ridisegna l’autogoverno della magistratura con due Consigli Superiori distinti, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica. Membri di diritto saranno, rispettivamente, il Primo Presidente e il Procuratore Generale della Corte di Cassazione. La composizione avverrà tramite sorteggio: un terzo dei componenti sarà scelto tra giuristi indicati dal Parlamento, gli altri tra i magistrati in servizio. Nasce inoltre l’Alta Corte Disciplinare, nuovo organo con giurisdizione esclusiva sui procedimenti disciplinari dei magistrati. Sarà formata da 15 membri – magistrati, avvocati e professori universitari – e sostituirà la sezione disciplinare del Csm.