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Ponte sullo Stretto, dal “no” tecnico al dossier strategico: perché oggi pesa più di ieri

Il paradosso di ieri e l’urgenza di oggi. Fu il governo di Mario Monti, nel pieno della stagione dei vincoli richiesti da Bruxelles, a cancellare il progetto del Ponte sullo Stretto dall’agenda delle grandi opere. Una scelta che colpì soprattutto il Mezzogiorno e che apparve in controtendenza rispetto alla visione europea dei corridoi strategici: una rete integrata di ferrovie ad alta capacità, autostrade del mare, vie d’acqua interne, strade, porti, aeroporti e – sì – ponti, pensata per accorciare le distanze tra Stati membri e accelerare il trasporto di persone e merci. Al posto di aggiornare un progetto ingegneristico complesso, se ne decretò l’archiviazione.

Il corridoio Palermo–Helsinki e la coerenza europea. L’Italia ha poi riallineato la rotta: il collegamento stabile tra Sicilia e Calabria è tornato a essere tassello del corridoio Scandinavo-Mediterraneo e, nell’ambito delle Reti transeuropee dei trasporti (TEN-T), è stato inquadrato come opera funzionale alla continuità territoriale del Paese e alla competitività del sistema logistico nazionale. Non più, dunque, una chimera ideologica, ma un nodo infrastrutturale che dialoga con porti hub, retroporti, interporti e alta capacità ferroviaria.

Dal cantiere di carta alla decisione politica. Nella prima metà della legislatura guidata da Giorgia Meloni, il progetto ha ottenuto il via libera del Cipess, trasformando un fascicolo pluridecennale in un percorso decisionale con tempi, governance e responsabilità definite. L’argomento non è solo l’impatto simbolico: il cantiere muove filiere produttive, accelera l’adeguamento delle tratte ferroviarie e stradali connesse, riduce i colli di bottiglia sul traffico merci e passeggeri, mette a sistema cantierizzazioni che il Sud attende da anni. L’infrastruttura porta con sé anche un valore culturale – la saldatura fisica delle due sponde – capace di alimentare fiducia, investimenti e visioni lunghe.

Mediterraneo globale, dove passa la crescita. La cornice, oggi, è più ampia. L’Europa riscopre il Mediterraneo come dorsale delle nuove catene del valore: tre grandi poli – l’Unione, l’Africa in crescita, l’India in accelerazione – si incontrano su rotte che attraversano Suez e si distribuiscono nei porti del Sud. In questo scenario il Ponte diventa complemento del Piano Mattei: la cerniera che rende l’Italia piattaforma logistica credibile tra Nord e Sud del mondo, capace di attrarre imprese manifatturiere, energie rinnovabili, dati e servizi avanzati. È una scelta di politica industriale prima ancora che un’opera pubblica.

Liberare l’opera dalla rissa eterna. Il dibattito italiano si è spesso fermato alla contrapposizione “ponte sì/ponte no”, un riflesso ideologico che ha congelato idee, risorse e opportunità. Se c’è una lezione del passato è che l’assenza di decisioni costa quanto – e talvolta più di – una decisione sbagliata. Oggi, con una finestra internazionale favorevole e con i corridoi Ten-T in aggiornamento, l’alternativa non è tra il Ponte e il resto, ma tra un sistema logistico integrato e la marginalità. Per questo l’opera andrebbe discussa su tempi, costi, mitigazioni ambientali, benefici e compensazioni territoriali, mettendo a terra governance trasparente e controllo pubblico rigoroso.

A ricordare la portata europea del dossier è l’eurodeputato di Fratelli d’Italia, Ruggero Razza, che in un editoriale sul Secolo d’Italia ha ricostruito la parabola: dal “no” dell’era Monti al rilancio nella stagione Meloni-Salvini, fino al passaggio al Cipess. Razza invita a leggere il Ponte come parte di una strategia nazionale ed europea, gemello infrastrutturale del Piano Mattei, e a difenderlo dalle “pulsioni ideologiche” che ne hanno frenato per decenni il cammino. La sfida, sottolinea, è far remare tutti dalla stessa parte nel momento in cui si poserà la prima pietra.

Un tassello dentro una visione. Se l’Italia vuole davvero collocarsi al centro del Mediterraneo globale, l’Isola ponte non è solo metafora: è progetto industriale e geopolitico che obbliga a correre sulle opere collegate – ferrovie veloci fino ai porti, bretelle stradali, digitalizzazione dei terminal – e a costruire competenze nei territori. In questo quadro Razza ha anche dato alle stampe per Bonfirraro Editore il volume Il Piano Mattei. Come Giorgia Meloni ha riportato l’Europa nel Mediterraneo globale, che lega l’infrastruttura allo scenario strategico in cui il governo ha scelto di muoversi.

Il Ponte, insomma, non è l’eccezione: è la prova di coerenza di un Paese che decide di usare la propria geografia come vantaggio competitivo. La politica può ancora dividersi su priorità e modalità, ma non sottrarsi alla domanda di fondo: quanto vale, per l’Italia e per l’Europa, una Sicilia collegata davvero al continente? La risposta passa da cantieri veri, responsabilità chiare e un lessico meno ideologico. Perché questa volta il treno – anzi, il ponte – non aspetterà in eterno.

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L.P