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Manovra approvata, ora Schifani affronta il nodo della maggioranza

La manovra di stabilità è stata approvata, ma il voto notturno dell’Ars consegna al presidente Renato Schifani una maggioranza politicamente indebolita, attraversata da assenze, franchi tiratori e tensioni interne.

La Finanziaria regionale è passata, ma le difficoltà per Renato Schifani sembrano appena cominciare. Il dato politico è netto: 29 voti favorevoli su una maggioranza teorica di 44 deputati, numeri che raccontano una tenuta formale ma una fragilità sostanziale. A pesare sono stati anche i franchi tiratori, che in alcune votazioni hanno raggiunto quota 18, e il tema ormai aperto del rimpasto di giunta.

Che i due assessori tecnici in quota Forza Italia, Daniela Faraoni e Alessandro Dagnino, siano considerati in uscita è un’ipotesi. Sui tempi, però, dentro il partito azzurro prevale lo scetticismo. Un rimpasto che favorisca l’ingresso di esponenti politici potrebbe infatti innescare una reazione a catena difficile da controllare, proprio mentre Forza Italia, chiusa la campagna di tesseramento, si prepara al primo congresso regionale, dall’esito tutt’altro che scontato.

Il clima teso era evidente già durante il voto sulla manovra. Tra gli assenti figurano lo stesso Schifani, ma anche Alessandro De Leo, vicino a Tommaso Calderone, oltre agli agrigentini Riccardo Gallo e Margherita La Rocca Ruvolo. Assente in blocco anche il gruppo degli autonomisti: Ludovico Balsamo, Giuseppe Carta e Roberto Di Mauro. Gianfranco Micciché, formalmente al Misto, risultava in congedo, mentre Geremia Lombardo non era in Aula al momento del voto, pur dichiarando successivamente che avrebbe votato a favore.

Defezioni significative anche nella Democrazia Cristiana: assente Carmelo Pace, non votanti Nuccia Albano, Salvo Giuffrida e Andrea Messina. Nessun voto espresso anche dal leghista Giuseppe Laccoto, presidente della Commissione Sanità.

Tutti nodi che torneranno sul tavolo del vertice di maggioranza a gennaio, quando sarà necessario decidere come rilanciare l’azione dell’esecutivo. Le posizioni restano distanti. Da un lato Raffaele Lombardo, convinto che l’unica strada sia l’azzeramento della giunta; dall’altro il segretario regionale della Lega, Nino Germanà, che spinge per la continuità.

Per Lombardo, un azzeramento immediato dopo la bufera giudiziaria che ha coinvolto Totò Cuffaro «avrebbe evitato azioni di giustizia sommaria». Pur ribadendo la sua «solidarietà al presidente Schifani, impegnato in un lavoro difficile», il leader autonomista non rinuncia a qualche critica, a partire dalla super commissione per la selezione dei manager, definita un meccanismo destinato a entrare in funzione «a ridosso della prossima legislatura».

Sul piano politico-partitico, Lombardo chiarisce anche la posizione sul tesseramento: «Abbiamo fatto le nostre tessere. Il contrario avrebbe comportato lo scioglimento del nostro partito», nonostante la federazione tra Mpa e Forza Italia.

Netta la posizione di Nino Germanà: «Confermiamo la fiducia nei nostri assessori e ci aspettiamo che non si tocchi nulla. La giunta resta quella uscita dal voto delle Regionali».

La Dc, pur con quattro assenti sul voto, rivendica il ruolo nella maggioranza. Ignazio Abbate ribadisce che il gruppo «è parte della coalizione» e rilancia l’ipotesi di un rientro in giunta. Anche guardando a una possibile collaborazione parlamentare con Cateno De Luca, «per garantire un sostegno più solido a Schifani». Una riorganizzazione dell’esecutivo, secondo Abbate, «è necessaria», soprattutto in vista degli ultimi 18 mesi di legislatura.

Più defilata la posizione di Fratelli d’Italia. L’emissario di Giorgia Meloni in Sicilia, Luca Sbardella, non entra nel merito degli equilibri di giunta, ma nel caso di cambi avrebbe una preferenza chiara: Ella Bucalo al posto di Elvira Amata. Una mossa che avrebbe un effetto a cascata, con Francesco Scarpinato pronto a subentrare in Senato e una possibile nuova partita interna per la guida dei Beni culturali.

La Finanziaria è stata approvata. Ma il voto ha aperto una fase politica nuova, in cui la vera partita per Schifani non sarà più solo numerica, ma di tenuta politica e coesione della maggioranza.

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Redazione