Un semaforo verde arrivato quasi sul filo di lana, che ha evitato alla Sicilia e all’Italia la perdita di cento milioni di euro di fondi del Pnrr. Con 32 voti favorevoli e 22 astensioni, l’Assemblea regionale siciliana ha approvato il disegno di legge che modifica la riforma della formazione professionale del 2019. Un passaggio tutt’altro che scontato, reso possibile da un patto di non belligeranza che ha portato le opposizioni a non bloccare il testo, pur mantenendo un atteggiamento critico e distaccato. La norma recepisce le richieste dell’Unione europea, che ha legato il finanziamento dei corsi di formazione all’adeguamento dei cataloghi regionali, imponendo a tutte le Regioni beneficiarie di varare entro il 30 settembre una legge di modifica. Senza questo passaggio, la Sicilia avrebbe rischiato di compromettere non soltanto la programmazione dei percorsi formativi, ma soprattutto di far perdere al Paese un finanziamento decisivo destinato a progetti di crescita e occupazione.
Il provvedimento, varato a Sala d’Ercole, interviene in maniera mirata sul catalogo dei corsi, rendendolo conforme ai parametri comunitari. Una modifica tecnica solo in apparenza, che invece apre la strada all’accesso e alla spesa dei fondi europei per la formazione. Il testo era stato sollecitato espressamente dalla Commissione europea, che nei mesi scorsi aveva avvertito il governo nazionale del rischio di stop ai finanziamenti in assenza dell’adeguamento legislativo da parte delle Regioni. La Sicilia si è dunque trovata a dover approvare il disegno di legge in tempi strettissimi, pena la perdita di una cifra che, in un settore fragile e cruciale come la formazione professionale, avrebbe rappresentato un colpo durissimo.
Il governo regionale ha difeso l’urgenza e la necessità della norma, presentandola come un atto dovuto. Ma in Aula non sono mancate le voci polemiche delle opposizioni, che hanno puntato il dito contro il ritardo con cui l’assessore alla Formazione, Mimmo Turano, ha portato il testo in discussione. Secondo i deputati critici, la Regione avrebbe potuto e dovuto muoversi prima, evitando di costringere l’Ars a votare sotto la pressione di una scadenza inderogabile e di un rischio così pesante per i conti pubblici. Per molti, il voto di oggi è stato una sorta di “salvataggio in extremis”, con un’accelerazione imposta dal calendario europeo più che da una reale capacità di programmazione da parte del governo siciliano.
Il clima in Aula ha risentito di questa tensione. Le opposizioni hanno scelto la via dell’astensione, evitando di bloccare la norma ma ribadendo la loro distanza politica da una gestione definita “affannata” e “priva di pianificazione”. Un comportamento che rientra in un equilibrio di responsabilità istituzionale: la consapevolezza che fermare il disegno di legge avrebbe prodotto danni enormi, ma al tempo stesso la volontà di non concedere al governo regionale un sostegno pieno e incondizionato.
Per il presidente della Regione e per l’assessore Turano resta dunque il risultato politico di aver portato a casa il provvedimento entro i termini, garantendo la continuità dei finanziamenti europei. Ma rimane anche l’ombra di un’operazione vissuta più come obbligo che come scelta, più come imposizione dall’alto che come frutto di un percorso condiviso e programmato. La sfida ora sarà trasformare l’urgenza in opportunità: utilizzare davvero i fondi per migliorare l’offerta formativa, renderla più competitiva e in linea con i bisogni del mercato del lavoro.
La seduta di ieri, segnata da votazioni rapide e da un dibattito a tratti teso, fotografa bene le difficoltà di un settore che da anni vive tra crisi, riforme annunciate e risorse che rischiano di sfuggire per la mancanza di tempestività. Questa volta i fondi sono stati messi in salvo, ma la vicenda ha mostrato quanto sia sottile il confine tra programmazione e rincorsa delle scadenze. E quanto la Sicilia, nonostante il peso delle sue difficoltà strutturali, non possa permettersi di perdere l’occasione del Pnrr.