Un detenuto di 34 anni, originario delle Mauritius, si è suicidato impiccandosi nel bagno della sua cella del carcere di piazza Lanza a Catania, dove era detenuto in attesa di giudizio per maltrattamenti. L’episodio, avvenuto lunedì, è emerso solo dopo ed è stato reso noto dalla Uil‑Pa penitenziaria. Si tratta del 54º suicidio registrato nelle carceri italiane dall’inizio del 2025, secondo i dati del sindacato . Un numero drammaticamente alto, che conferma l’emergenza penitenziaria.
Il sindacato ha denunciato la situazione critica negli istituti: a Catania mancano decine di agenti. Algozzino, segretario Uil‑Pa, ha spiegato che su 96 agenti previsti in servizio, molti sono distaccati altrove, lasciando vuoti insostenibili in organico. L’allarme non è solo locale: secondo report del Garante nazionale dei detenuti, in Sicilia si registrano 4 suicidi da inizio 2025, che collocano la regione al 4° posto in Italia per questo drammatico indicatore, dopo Lombardia (10), Lazio (5) e Campania (4), su un totale nazionale di 46 casi.
Anche l’associazione Codacons ha definito l’accaduto come una “tragedia annunciata”. Già in aprile aveva presentato esposti a 9 procure siciliane, denunciando le condizioni disumane delle carceri, potenziali omissioni d’atti d’ufficio e responsabilità per suicidio. Un appello che resta purtroppo non ascoltato, secondo l’associazione. Il quadro di contesto è confermato anche dal Garante nazionale, che segnala 46 suicidi nei primi sette mesi del 2025, allarmando su un trend in crescita che richiede interventi urgenti e mirati.
Il dramma di piazza Lanza, quindi, è sintomatico di una crisi più ampia: sovraffollamento strutturale, organici sottodimensionati, carenze infrastrutturali e mancata risposta politica. Le istituzioni sono chiamate a un intervento immediato non solo emergenziale, ma anche imbastito su riforme strutturali: assunzioni, ammodernamento degli spazi, rafforzamento della vigilanza e delle misure di prevenzione suicidi. Il suicidio in carcere non è mai un fatto isolato: è il prodotto di un sistema che non offre dignità, cura e sicurezza a chi è privato della libertà. A Catania, come in altre realtà italiane, la rete che dovrebbe proteggere sembra essersi lacerata, e il prezzo più alto lo pagano vite troppo fragili, lasciate sole dietro le sbarre.