Apertura

Schifani, la pazienza del “diesel” in un centrodestra in cerca di equilibrio

Dopo giorni di tensioni e voti segreti che hanno scosso la maggioranza all’Ars, Renato Schifani ribadisce calma e determinazione. Il governatore invoca dialogo e responsabilità, mentre da Roma arriva la conferma del sostegno politico di Fratelli d’Italia. Ma in Sicilia, tra veti e rivalità, il rischio è che il confronto si trasformi in resa dei conti.

Esterno sera, piazza San Lorenzo a Firenze. Lo stato maggiore di Fratelli d’Italia si riunisce per il comizio di chiusura della campagna toscana. A margine, però, non si parla solo di elezioni: si discute di Sicilia, di quella crisi politica che sta agitando le acque del centrodestra e che domani, a mezzogiorno, vivrà un nuovo capitolo a Palazzo d’Orleans. In mezzo al caos, la premier Giorgia Meloni conferma piena fiducia al suo uomo nell’isola, Luca Sbardella, investito del compito di gestire la linea del partito e, se necessario, prendere decisioni drastiche. Gli scatoloni – dicono da via della Scrofa – sarebbero già pronti: se dovesse essere chiesto ai quattro assessori di Fratelli d’Italia di lasciare la giunta, lo farebbero senza esitazioni.

Nel frattempo, i malumori crescono. A Palazzo dei Normanni i meloniani non nascondono l’irritazione per quanto accaduto in Aula durante la discussione della manovra quater. Quando Forza Italia, Dc e Lega hanno lasciato l’emiciclo, lo hanno fatto – secondo alcune ricostruzioni – su indicazione diretta del presidente Renato Schifani. «Sarebbe grave se quelle ricostruzioni fossero confermate – hanno commentato i dirigenti di FdI – perché noi non abbiamo ricevuto alcun invito a uscire da Sala d’Ercole. Sarebbe una vera e propria ghettizzazione, tanto più se decisa dal presidente della Regione».

La storia insegna che senza una copertura romana, in Sicilia non si governa a lungo. È sempre stato così: lo dicono le cronache e lo ricordano le carte – quelle rese pubbliche dai giornalisti che, anche a costo di esporsi, continuano a raccontare fatti e non opinioni. E in quelle carte emerge un tratto costante della politica isolana: troppi, in passato, hanno pensato più a costruire il proprio feudo che a servire l’interesse pubblico. Feudi che non hanno mai portato sviluppo, ma piuttosto una lenta discesa verso il baratro, dove le alleanze si consumano e i cittadini restano spettatori.

In questo scenario di fragilità, Schifani prova a mantenere il timone saldo. Dopo giorni di tensioni e franchi tiratori, il presidente della Regione si dice fiducioso ma non nasconde l’amarezza per le norme bocciate. Intervenendo al Festival del giornalismo enogastronomico di Galati Mamertino, ribadisce la sua volontà di andare avanti: «Quello che mi dispiace di più – ha detto – è la norma sul south working bocciata: la riproporremo. Votare contro quella misura vuol dire votare contro i ragazzi siciliani. Peccato, è un’amarezza politica. Votare contro i ragazzi che tornano… Speriamo che non succeda più». Parole che lasciano trasparire delusione, ma anche determinazione. «Questi episodi rischiano di allontanare i cittadini dalla politica – ha aggiunto. Ci ritornerò: è una bella misura. Voleva essere, in questi mesi, sperimentale per partire bene a gennaio».

Tra i provvedimenti respinti, Schifani ha ricordato anche la norma sul Fondo per l’editoria: «Chi mi conosce sa che quando prendo un impegno cerco di mantenerlo. Per questo gli impegni devono passare dai filtri parlamentari. Non riesco a comprendere questa stravaganza di voto contro la norma condivisa con la Stampa parlamentare siciliana. È la seconda volta che viene bocciata, comincio a chiedermi perché».

In un clima di sfiducia crescente, il presidente sceglie la via della calma e del metodo. «Sono del segno zodiacale del Toro, mi chiamano diesel – racconta con un sorriso. Ho scoperto che è il mio monogramma, me lo ha detto un medico. Bisogna andare avanti. Ed è la mia lavorazione: certe volte mi stanco, ma quando uno vuole va avanti come un diesel appunto. Sono sereno e pacato».

La metafora del diesel non è casuale. Rappresenta la filosofia di chi procede lentamente ma con costanza, con quella pazienza che in politica vale quanto la forza. In Sicilia, dove i personalismi bruciano più della lava dell’Etna, serve la freddezza di chi sa aspettare, mediare, ricucire. Perché la politica, se smette di dialogare, non va da nessuna parte. E Schifani, abituato ai compromessi della Prima Repubblica, lo sa bene: per lui il governo si tiene insieme con il rispetto, non con le imposizioni.

«Viviamo in un clima avvelenato – sottolinea in governatore – anche in Sicilia. Non mi riferisco alla stampa ma a chi comunica, chi lo fa usa termini più velenosi. Si cerca la polemica a ogni costo, si tende a strumentalizzare qualsiasi cosa con lo scopo di esasperare i toni».

Intanto la maggioranza si prepara al vertice di lunedì, dove si tenterà di ritrovare un equilibrio dopo la bocciatura di un terzo della manovra, frutto – secondo molti – dei franchi tiratori. Il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno prova a mediare: «Non è una manovra, ma un intervento necessario per scongiurare la chiusura dell’ente. Lunedì si chiarirà anche la forza di ogni gruppo e si capirà chi davvero intende proseguire con lealtà». Parole che sanno di appello all’unità più che di avvertimento.

E mentre da Roma Giorgia Meloni segue la vicenda con attenzione, in Sicilia il centrodestra cerca di ricucire le sue ferite. Perché, come diceva De Gasperi, “un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”. E oggi, in un’isola dove le alleanze si logorano al primo voto segreto, serve proprio questo: la visione lunga di chi sa resistere al rumore, lavorando – come un diesel – per non fermarsi mai.

Share
Published by
L.P