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Palermo, il dolore per Paolo Taormina e il vuoto che genera violenza

La morte di Paolo Taormina a Palermo scuote le coscienze: un gesto estremo che rivela il fallimento di un’intera società. Non solo cronaca, ma l’urlo di una generazione abbandonata.

C’è un filo sottile che collega Palermo a Catania, Napoli a Milano, le periferie del Sud ai sobborghi del Nord. È il filo spezzato delle speranze giovanili, di vite appese a un destino costruito tra un post su TikTok, una rissa fuori da un pub, forse un colpo di pistola sparato per “difendere l’onore”. La morte di Paolo Taormina, il 21enne ucciso nella notte palermitana mentre cercava di sedare un litigio, non è un caso isolato. È lo specchio scomodo di un Paese che da anni finge di non vedere. È la fotografia impietosa di una generazione dimenticata, cresciuta tra il mito del potere facile, l’assenza di esempi e la deriva morale.

Gaetano Maranzano, 28 anni, compariva su TikTok con collane dai ciondoli vistosi, mentre scorrevano immagini dedicate a Totò Riina. Fermato per l’omicidio di Paolo Taormina, il giovane avrebbe dichiarato agli inquirenti di aver “perso la testa” dopo aver incontrato casualmente la vittima, spiegando di aver reagito in modo istintivo per vecchi dissapori legati, a suo dire, a presunte offese rivolte alla sua compagna.

La dinamica dell’accaduto resta però ancora da chiarire. Le immagini delle telecamere di sorveglianza presenti nella zona non mostrerebbero il momento dello sparo. Saranno dunque le indagini dei carabinieri, coordinate dalla Procura, e l’analisi tecnica dei filmati a stabilire con precisione cosa sia realmente accaduto quella notte, tra le luci e i rumori della movida palermitana. Nei confronti di Maranzano, al momento, non risulterebbero precedenti penali.

Al di là delle singole vicende, emerge con forza il tema di un contesto sociale in cui alcuni simboli, linguaggi e riferimenti culturali sembrano ancora esercitare un fascino diffuso, soprattutto tra i più giovani. Si tratta di un terreno delicato, dove la rappresentazione spettacolare della violenza può contribuire, in alcuni casi, ad alimentare sentimenti di solitudine, disagio e comportamenti impulsivi.

Lo Zen di Palermo, il Librino di Catania, lo Zen 2.0 delle grandi città italiane: è lì che si consumano ogni giorno piccole tragedie invisibili. Adolescenti che non vanno più a scuola, ragazzi che non sognano più un lavoro ma una pistola, padri assenti o a loro volta smarriti, istituzioni che arrivano sempre dopo, quando il sangue è già per terra. E intanto i social diventano palcoscenici dove sfilano criminali in erba, gang in posa, “uomini d’onore” senza onore, mitizzati da like, commenti e visualizzazioni. Si cresce così: senza parole, senza affetto, senza regole. E allora basta uno sguardo, un’offesa, un passato non digerito per premere il grilletto.

Ma non è solo Palermo. Questa è l’Italia dell’ansia sociale, della solitudine digitale, della mancanza di educazione emotiva e civica. È l’Italia dove la scuola si svuota di senso, dove il lavoro non dà dignità, dove le istituzioni faticano a parlare il linguaggio delle nuove generazioni. Dove le famiglie arrancano, dove gli oratori chiudono, dove le comunità si dissolvono. E dove i simboli che dovrebbero educare, proteggere e guidare sono diventati spesso deboli e muti.

C’è chi chiede più sicurezza, più telecamere, più polizia. Ed è giusto. Ma se non si ricostruisce il senso stesso dello stare insieme, se non si torna a presidiare i cuori prima delle piazze, se non si offre ai ragazzi un’alternativa credibile, vera, concreta, il sangue continuerà a scorrere. Non ci saranno abbastanza carabinieri per ogni angolo buio, se quei bui continueranno a crescere dentro le coscienze.

Domani Palermo sfilerà in silenzio, per fare rumore. Ma a sfilare dovrebbe essere tutto il Paese. Perché ogni Paolo è un figlio nostro. Ogni gesto di violenza è un fallimento di tutti noi. Finché non capiremo che la rabbia e l’odio non nascono all’improvviso, ma sono il frutto amaro di anni di disattenzioni, silenzi e complicità, continueremo a contare vittime e a piangere troppo tardi.

*Le informazioni contenute in questo articolo si basano su fonti ufficiali e disponibili al momento della pubblicazione. Ogni persona citata è da considerarsi innocente fino a sentenza definitiva.

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Published by
Alfio Musarra