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Musumeci, la Sicilia e il sistema che nessuno vuole guardare

C’è un filo rosso che attraversa tutte le dichiarazioni pronunciate da Nello Musumeci nelle ultime ore, tra una convention politica e un confronto pubblico: un filo che non riguarda solo l’attualità, né soltanto l’inchiesta che sta travolgendo la Democrazia Cristiana di Totò Cuffaro. Il ministro parla della Sicilia, della sua storia istituzionale, delle sue debolezze strutturali. Ma, soprattutto, parla di un nodo irrisolto che la politica – di qualunque colore – ha preferito evitare per decenni.

«La Regione siciliana è fondata sul sistema clientelare e sul consociativismo parlamentare, lo diceva Giuseppe Alessi nell’immediato dopoguerra», dice Musumeci. Una frase che potrebbe sembrare un’iperbole, se non fosse che a pronunciarla è un uomo che quel sistema l’ha attraversato da presidente della Regione, conosciuto nei suoi meccanismi interni, e che rivendica oggi di aver provato a resistervi. Le sue parole risuonano come una diagnosi amara: non è l’inchiesta su Cuffaro a essere sorprendente – sostiene – ma l’ipocrisia di chi finge stupore.

Musumeci, ancora una volta, agita una verità scomoda: il clientelismo non è un incidente di percorso, bensì un codice culturale sedimentato negli anni, un linguaggio non scritto che ha regolato rapporti di potere, candidature, equilibri d’aula. La politica siciliana, dice il ministro, è sempre stata attraversata da una scelta netta: “accettare il sistema e diventare complici” oppure “opporsi e diventare un problema”. Non c’è una terza strada. Chi si mette di traverso, paga. E su questo, Musumeci non fa sconti a nessuno.

Accanto alla denuncia strutturale, c’è un’altra linea del suo intervento: la legittimazione dell’azione del governo Meloni sul piano nazionale. L’ex presidente della Regione rivendica numeri e stabilità: spread ai minimi, deficit sotto controllo, credibilità internazionale cresciuta. Una difesa d’ufficio ma anche una presa di distanza da chi circonda l’esecutivo con sospetti e attacchi giudiziari. Musumeci arriva a parlare di “sparuta parte della magistratura” che, a suo dire, opera con finalità politiche. È una tesi radicale, che porta con sé il rischio di esasperare un clima già teso, ma che rivela il suo obiettivo politico: circoscrivere l’azione del governo come seria, coerente, vittima di un accerchiamento.

C’è poi la Sicilia come laboratorio delle contraddizioni: il tema dell’acqua, che “non manca ma non si sa conservare”, la questione del voto segreto, che nessuno vuole abolire perché strumento di pressione e ritorsione in Assemblea Regionale. Musumeci parla per esperienza diretta, e quando dice «parlo con cognizione di causa», si capisce che il riferimento è al periodo da governatore, fatto di voti ribaltati, franchi tiratori e scontri sotterranei nelle stanze del potere.

Infine, un passaggio destinato a far discutere: «Attenzione a non lasciarci sodomizzare dal Palazzo». Un linguaggio insolito per un ministro della Repubblica, ma non per Musumeci, che da sempre utilizza parole che scuotono, dividono, costringono alla reazione. Dietro questa frase eccessiva c’è un messaggio preciso: non farsi inglobare dal sistema, mantenere una “differenza comportamentale” per evitare di diventare come gli altri. È un appello alla coerenza, alla moralità politica, ma suona anche come una critica indiretta a chi, nel centrodestra siciliano, ha gestito potere e deleghe con una leggerezza che oggi presenta il conto.

Il ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, intervenendo alla convention di FdI a Palermo, ha richiamato l’attenzione sulla necessità di mantenere fermezza e cautela nella gestione istituzionale. Rivolgendosi al presidente dell’Ars, ha ricordato: «Al presidente dell’Assemblea siciliana Gaetano Galvagno ho detto di continuare a lavorare con la stessa serenità e con la stessa autorevolezza con cui ha lavorato finora. Non abbiamo scheletri nell’armadio. Siamo fiduciosi del lavoro della magistratura ma dobbiamo tenere alta l’attenzione. Molto alta. Perché dobbiamo essere vigili, soprattutto su quelli che stanno accanto a noi, a un palmo di distanza. E voi mi capite».

Il riferimento arriva in un momento delicato, mentre Gaetano Galvagno (FdI) risulta sotto inchiesta da parte della Procura di Palermo per ipotesi di peculato, falso, truffa e un episodio di corruzione, legati a presunti utilizzi irregolari di fondi e all’impiego dell’auto di servizio. In questo mosaico complesso, la dichiarazione del presidente della Regione Renato Schifani assume un valore strategico: «La legislatura andrà avanti fino alla fine, numeri e risultati sono dalla nostra parte». È una rassicurazione che tenta di ricomporre una coalizione scossa da un’inchiesta che ha lasciato il segno.

La Sicilia continua a muoversi tra spinte di rinnovamento e vecchi schemi di potere. Musumeci ha scelto di raccontarlo senza filtri. E quando la verità emerge così, il rischio non è solo politico: è culturale. Perché significa ammettere che ciò che chiamiamo “sistema” non è un’eccezione, ma un’abitudine. E cambiarla sarà la sfida più difficile.

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Published by
Alfio Musarra