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Don Pino Puglisi, 32 anni dopo: la forza mite di un prete che sfidò la mafia con il sorriso

Il 15 settembre del 1993, giorno del suo 56° compleanno, veniva assassinato a Brancaccio don Pino Puglisi, il sacerdote che più di ogni altro seppe scalfire con semplicità e coraggio i meccanismi della mafia. Non aveva armi né protezioni, ma un sorriso contagioso e una fede incrollabile che divennero il suo segno distintivo. Quel giorno, davanti alla sua casa, due sicari di Cosa nostra gli tolsero la vita. La sua morte fu l’estremo atto di una testimonianza civile e cristiana che ancora oggi resta viva. A distanza di trentadue anni, la figura di “3P” – così lo chiamavano affettuosamente i suoi ragazzi – resta un punto di riferimento alto per la Sicilia e per l’Italia intera. La sua missione era chiara: dare ai giovani di Brancaccio, quartiere abbandonato e dominato da logiche criminali, una via alternativa fatta di studio, gioco, educazione, rispetto reciproco. Per questo creò il centro Padre Nostro, un luogo di accoglienza e di riscatto, dove la dignità delle persone diventava valore non negoziabile.

«Con semplicità e coraggio – ha ricordato il presidente della Regione, Renato Schifani in una lettera pubblicata da alcuni quotidiani– padre Puglisi ha mostrato che la legalità e la dignità delle persone possono essere affermate attraverso l’ascolto, l’educazione, l’accompagnamento dei giovani verso percorsi di libertà e responsabilità».

Quella di don Pino non era solo una predicazione di parole, ma di gesti concreti: l’incontro quotidiano con i ragazzi per strapparli alla strada, le battaglie per avere una scuola, l’impegno per diffondere una cultura di cittadinanza. La sua era una sfida silenziosa e determinata, che faceva paura a chi traeva vantaggio dal degrado e dall’abbandono. Non a caso, come hanno scritto i giudici nelle sentenze che hanno condannato i suoi assassini, la mafia lo percepiva come un pericolo perché indicava una via di liberazione collettiva.

Il suo insegnamento ci ricorda che il cambiamento è possibile se ciascuno fa la propria parte. La sua voce continua a interpellare le istituzioni e i cittadini, chiamati a costruire una società più giusta, più solidale e più attenta ai bisogni delle nuove generazioni. Non basta commemorare: occorre proseguire sul solco tracciato, rafforzando la scuola, il lavoro, la cultura, investendo in politiche sociali che riducano le disuguaglianze.

In occasione del 32° anniversario dell’omicidio per mano mafiosa del beato Giuseppe “Pino” Puglisi, che ricorre il 15 settembre e che quest’anno coincide con l’avvio del nuovo anno scolastico in Sicilia, l’assessorato regionale dell’Istruzione e della Formazione professionale ha inviato una circolare a tutti gli istituti scolastici dell’Isola, invitando a dedicare un momento di riflessione alla memoria del sacerdote di frontiera. Un gesto simbolico ma significativo, per rafforzare tra i più giovani la cultura della legalità, della responsabilità e dell’impegno civile.

«L’anno scolastico si aprirà quest’anno nel ricordo di don Pino Puglisi – afferma l’assessore Mimmo Turano – per onorarne l’impegno civile e trasmettere alle nuove generazioni l’eredità morale che ci ha lasciato. Da sacerdote di frontiera ed educatore, don Pino ha compiuto una scelta precisa, stando accanto ai ragazzi del quartiere Brancaccio a Palermo, per sottrarli alla strada grazie al Centro di accoglienza Padre Nostro, da lui fondato».

«Con il suo esempio luminoso – prosegue l’assessore regionale all’Istruzione – ha restituito speranza laddove regnava la rassegnazione, offrendo alternative alla violenza e insegnando che anche un piccolo gesto può fare la differenza. La sua testimonianza di fede, coraggio e dedizione rappresenta ancora oggi un potente modello pedagogico-educativo e uno strumento di cambiamento sociale e culturale da preservare, perché, come ci ha insegnato, “se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto” per costruire una società più giusta, consapevole e, soprattutto, libera dal ricatto mafioso».

Per la Chiesa siciliana, Puglisi resta il simbolo di un modo di vivere il Vangelo autentico e radicale. Papa Francesco, nel proclamarlo beato nel 2013, ne ha indicato il martirio “in odium fidei”: ucciso perché sacerdote, ucciso perché incarnava con coerenza il messaggio cristiano. Ma accanto alla dimensione spirituale, il suo esempio ha avuto e continua ad avere un impatto civile straordinario. Puglisi non si limitava a denunciare il male, costruiva il bene con pazienza, mattoncino dopo mattoncino, facendo della speranza un’opera concreta.

«Ricordare don Pino Puglisi – ha concluso il presidente Schifani – significa riaffermare la speranza di una terra che non si piega alla violenza, ma che trova nella forza della legalità e nella dignità della persona le basi per il proprio futuro». Trentadue anni dopo, il suo sorriso resta una lezione che non conosce tempo. Un invito a credere che anche nei quartieri più difficili e nelle periferie dimenticate può germogliare il seme della speranza. Una speranza che si chiama libertà, giustizia, dignità. La speranza di una Sicilia che non si arrende all’indifferenza e che, nel nome di don Pino Puglisi, sceglie ancora di dire sì alla vita e no alla violenza.

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Redazione