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Depistaggi, conflitti interni e agende scomparse: le rivelazioni di Sortino

I militari del ROS dei Carabinieri di Caltanissetta, su delega della Procura nissena, qualche giorno fa hanno eseguito tre perquisizioni tra le province di Caltanissetta e Catania nell’ambito dell’indagine per strage e depistaggio relativi alla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992. Gli obiettivi sono luoghi riconducibili all’ex Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, chiamato a dirigere le investigazioni immediate dopo l’attentato.

Dall’analisi di verbali e dichiarazioni di collaboratori di giustizia è emersa l’esistenza di una loggia massonica “clandestina” a Nicosia (EN), il cosiddetto “Terzo Oriente”, nato sulle ceneri della P2 per riunire politici, imprenditori e criminali senza dichiararne la natura massonica. Cruciali sono state le deposizioni di Gioacchino Pennino (1998), che ne illustrò scopi e struttura, e di Angelo Siino (Procura di Napoli, fine anni ’90), il quale ha raccontato i suoi contatti con il massone Salvatore Spinello, vicino a boss palermitani, e le sue ambizioni di creare “una super-loggia segreta” con l’appoggio del Gran Maestro Giuliano Di Bernardo. Spinello avrebbe definito Tinebra «un personaggio di grande rispetto e giurisdizione», “dei nostri”, aggiungendo che esporsi pubblicamente l’avrebbe compromesso.

È inoltre accertato, secondo la ricostruzione, il ruolo di vertice di Tinebra nel Kiwanis Club di Nicosia, sodalizio ritenuto vicino alle logge massoniche locali. Di Bernardo, sentito l’8 novembre 2024, ha confermato i legami tra club come Kiwanis, Rotary e Lions e gli ambienti massonici: pur senza rilevanza nazionale, tali circoli influenzano fortemente le dinamiche locali. La consulente Piera Amendola ha poi osservato come molti massoni sfruttino l’iscrizione a più associazioni “ufficialmente lecite” per tessere reti di potere tra diverse obbedienze.

Per chiarire il contesto del depistaggio e il misterioso smarrimento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, gli inquirenti hanno esaminato ogni spazio un tempo frequentato da Tinebra. Tra i documenti acquisiti c’è un appunto datato 20 luglio 1992, firmato Arnaldo La Barbera (allora capo della Squadra Mobile di Palermo): “Alle ore 12 viene consegnato al dott. Tinebra uno scatolo in cartone contenente una borsa in pelle e un’agenda appartenute al giudice Borsellino”. Quel promemoria, privo di ricevuta di consegna, non era mai stato trasmesso o menzionato dall’autore durante le indagini.

Non è ancora chiaro se la consegna sia realmente avvenuta né se l’agenda fosse quella “rossa”. Resta comunque il fatto che La Barbera custodì borsa e agenda dalla sera del 19 alla mattina del 20 luglio, intervallo sufficiente – secondo gli inquirenti – per sottrarre o duplicarne i contenuti. Nel corso delle perquisizioni è stata raccolta ulteriore documentazione, ora al vaglio dell’autorità giudiziaria, per fare luce su uno dei più gravi depistaggi della storia repubblicana.

In un capitolo a parte, Calogero Sortino, maresciallo in pensione e già collaboratore di Tinebra, avrebbe deposto lo scorso inverno davanti agli inquirenti che indagano anche sulla “Loggia Ungheria” di Perugia, definendo «aspro» il conflitto durato oltre dieci anni tra Tinebra e il magistrato Sebastiano Ardita. Il contrasto nacque dopo l’adozione del “Protocollo Farfalla” – che garantiva agli 007 guidati da Mario Mori l’accesso ai pentiti – e si acutizzò con il ritorno di Nino Giuffrè: Tinebra accusò Ardita di non averlo informato e gli ordinò di cancellarlo dalla propria vita professionale. Sortino ricorda poi il tentativo di controllo sui dati dell’ufficio detentivi diretto da Ardita e la presenza per giorni di un’auto equipaggiata con apparato GA900 davanti al suo ufficio.

Intervistato da Adnkronos, Ardita ha confermato i sospetti di intercettazioni illegali, dossier anonimi e un clima «invivibile» che lo spinse a rivolgersi, senza esito concreto, ad altre autorità istituzionali, ad eccezione della Procura di Roma. Ha chiesto chiarezza sugli ordini e i beneficiari di quelle ipotizzate operazioni, definendole «un grave rischio di inquinamento dei processi e di depistaggio».

Infine, Carmelo Canale – ex ufficiale dei Carabinieri e storico collaboratore di Paolo Borsellino – ha raccontato al Tg1 che il giudice, pochi giorni prima di via D’Amelio, era vicino ad arrestare il procuratore di Palermo Giovanni Giammanco. Canale ha ribadito l’importanza dell’agenda rossa, mai ritrovata, che avrebbe potuto contenere informazioni decisive sui giorni precedenti l’attentato; consegnerà alla commissione Antimafia appunti tratti da un’altra agenda di Borsellino. In studio, la figlia del giudice ha mostrato la borsa lasciata in auto quel 19 luglio 1992, diventata simbolo della sua dedizione alla legalità e alla memoria civile.

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Published by
Alfio Musarra