Vaticano (Pixabay) CataniaOggi
Mancano poche ore all’istante in cui il mondo verrà simbolicamente escluso dal segreto della Cappella Sistina. Alle 15 di mercoledì 7 maggio risuonerà il “Extra omnes” e i 132 cardinali elettori, già sistemati a Casa Santa Marta con sorteggio anonimo, si muoveranno in processione verso l’affresco michelangiolesco che da secoli custodisce il sigillo dell’elezione papale. Fuori, Roma vibra di trepidazione; dentro le mura leonine domina la disciplina del silenzio: reti cellulari disattivate, personale tecnico sotto giuramento – circa cento addetti – e la minaccia di scomunica per chiunque infranga il segreto. Le congregazioni generali appena concluse hanno tracciato le coordinate spirituali e pratiche del prossimo pontificato. Lunedì al centro c’erano le fratture interne alla Chiesa, poi il dramma di guerre e migrazioni. «Wait and see», ha sorriso il cardinale Mario Zenari, confessando di aver già pagato una penale per il volo di ritorno fissato il 19 maggio: ennesima prova che solo la fumata, bianca o nera, detterà il calendario.
Intanto, sulla Loggia delle Benedizioni, campeggia il drappo cremisi dell’“Habemus Papam”. Quando il fumo sarà chiaro, il protodiacono pronuncerà quelle due parole e il nuovo Pontefice apparirà a benedire la folla di fedeli e curiosi. Nell’aria circolano pronostici puntuali come le comete: fra i nomi più ricorrenti spiccano il Segretario di Stato Pietro Parolin, l’italiano Matteo Zuppi (arcivescovo di Bologna e presidente della CEI), il filippino Luis Antonio Tagle e il canadese Marc Ouellet. Nessun algoritmo anticipa i moti di coscienza di un Conclave, dove contano preghiera, discernimento e, in ultima analisi, lo Spirito Santo.
In Sicilia l’attesa è segnata dal desiderio di una linea che non rinneghi l’eredità di Francesco. «Il suo stile evangelico, vicino ai poveri, è irreversibile» spiega il teologo palermitano Carmelo Torcivia, auspicando maggiore chiarezza su alcuni snodi dottrinali e sulla riforma della Curia. Padre Cosimo Scordato, voce storica dell’Albergheria, invoca un Papa «che scelga il punto di vista dei crocifissi del mondo» e interiorizzi il Vangelo dai margini della storia, non dai palazzi. Gianni Notari, gesuita e direttore dell’Istituto “Pedro Arrupe”, vede nel futuro Pontefice il compito di consolidare una Chiesa “estroversa”, pronta a dialogare con le domande del nostro tempo. Tra i vicoli di Palermo, don Enzo Volpe sottolinea l’importanza di «un’armonia che tenga conto del cammino già fatto»: le differenze non sono zavorra, ma materia prima di una comunità capace di ascolto reciproco.
Don Sergio Ciresi, direttore della Caritas diocesana, spera in un successore sensibile alle «periferie geografiche ed esistenziali». Milena Libutti, referente del cammino sinodale di Palermo, chiede di proseguire sulla strada dell’inclusione, mentre padre Francesco Machì ricorda le grandi sfide globali su pace, ambiente e intelligenza artificiale. Per Emiliano Abramo, della Comunità di Sant’Egidio, «anche la diplomazia della pace è parte imprescindibile dell’eredità di Bergoglio».
Altro punto di osservazione è Acireale, dove il vescovo Antonino Raspanti guida la Conferenza Episcopale Siciliana. Alla vigilia del Conclave elenca al futuro Papa i dossier isolani: la piaga mafiosa, la fuga dei giovani, l’accoglienza ai migranti, la povertà cronica e la necessità di riaccendere il dialogo con le nuove generazioni. «Il linguaggio liturgico spesso non parla ai ragazzi – ammette –. Servono creatività pastorale e verità anche quando scomoda». Raspanti scommette su una figura «in continuità con Francesco», capace di smontare l’equazione sicurezza–armi e di rafforzare la diplomazia come antidoto alla violenza.
Alle 13 di mercoledì il Governatorato spegnerà gli ultimi telefoni; alle 15 il portone della Sistina si chiuderà. Da quel momento il mondo intero tratterrà il fiato, scrutando il comignolo. Quando finalmente il fumo bianco si alzerà contro il cielo di primavera, la Chiesa avrà il suo 267° successore di Pietro e l’umanità un nuovo riferimento morale. I commentatori tireranno somme e i siciliani ascolteranno con curiosità l’eco che quel nome susciterà sulla loro isola, sperando che il solco tracciato da Francesco – dalla difesa del creato alla lotta contro le mafie, dall’opzione per i poveri all’ospitalità dei migranti – diventi sentiero ancora più largo.
Qualunque volto appaia dietro quel drappo rosso, sarà chiamato a unire diversità, a rammendare ferite e a dialogare con un mondo segnato da guerre, mutamenti climatici e rivoluzioni tecnologiche. Per questo, oltre a ogni calcolo giornalistico, rimane la convinzione espressa da molti porporati: a decidere, alla fine, è lo Spirito. E proprio per questo nulla è più imprevedibile – e, insieme, più atteso – dell’istante in cui la fumata bianca proclamerà che c’è un nuovo vescovo di Roma.