La riforma della giustizia ha completato il suo iter parlamentare con la quarta votazione tra Camera e Senato e introduce modifiche al Titolo IV della Costituzione. Il provvedimento prevede la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, la nascita di due Consigli Superiori della Magistratura distinti, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica, e l’istituzione di una nuova Alta Corte disciplinare competente sulle sanzioni ai magistrati. Perché la riforma diventi legge dovrà trascorrere un periodo di tre mesi durante il quale potrà essere richiesto un referendum confermativo, previsto quando la revisione costituzionale non è approvata con i due terzi dei voti. In questo caso non è previsto alcun quorum, quindi il risultato sarà valido indipendentemente dall’affluenza.Il voto popolare deciderà la sorte definitiva della riforma, che ridefinisce l’assetto del potere giudiziario con l’obiettivo dichiarato di garantire un maggiore equilibrio tra funzioni inquirenti e giudicanti. I componenti dei nuovi organi saranno scelti in parte tramite sorteggio tra magistrati e in parte da elenchi di avvocati e professori di diritto selezionati dal Parlamento, introducendo un modello di autogoverno più articolato rispetto all’attuale Consiglio Superiore della Magistratura.

La riforma della giustizia è diventata il terreno più caldo del dibattito politico. Da un lato il ministro Carlo Nordio, pronto a guidare la campagna per il “sì”; dall’altro ci sarebbe, il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, pur non avendo mai avuto stretti rapporti con l’Associazione Nazionale Magistrati, è diventato uno dei volti simbolo del comitato per il “no” alla riforma della giustizia. Rivendica la propria autonomia dalle correnti e spiega che la sua posizione nasce dalla convinzione che la riforma rappresenti un rischio concreto per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. «Di fronte a un pericolo così serio – afferma – i magistrati devono marciare uniti».

Nordio ha annunciato che porterà la sua posizione in televisione e nei territori «compatibilmente con gli impegni di governo», rifiutando però l’idea di dimettersi in caso di vittoria del «no». La sua è una sfida aperta, anche contro l’Associazione Nazionale Magistrati, che ha costituito un comitato per il «no» e accettato un confronto diretto in TV. Forza Italia si propone come capofila del fronte favorevole, dedicando la riforma alla memoria di Silvio Berlusconi, definendola «l’ultima vittoria ideale del Cavaliere».

Dal fronte opposto, il centrosinistra prepara la sua risposta. Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra valutano la possibilità di un comitato unitario con associazioni civiche e sindacati, sulla scia della mobilitazione contro la riforma dell’autonomia differenziata. L’obiettivo: riportare il confronto sui temi dell’indipendenza e dell’equilibrio tra poteri dello Stato.

«Non ho mai avuto paura di dire quello che penso. Oggi lo ripeto con la stessa convinzione di quarant’anni fa: questa riforma non nasce per rendere la giustizia più efficiente o più vicina ai cittadini, ma per rendere i magistrati più controllabili.»

Così inizia Nicola Gratteri, Procuratore capo a Napoli, in uno dei suoi interventi più lucidi e diretti, pronunciato pochi giorni dopo il congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati. Nel suo intervento su La7, nel programma «In altre parole», il suo tono è fermo, quasi didattico, ma la sostanza è un atto di accusa preciso verso una politica che – da destra a sinistra – negli ultimi decenni ha scelto di non investire sulla giustizia.

«A ogni stagione – dice Gratteri – ci promettono riforme. Ma quando poi si va a vedere, sono soltanto aggiustamenti di facciata: riforme che non servono a velocizzare i processi, che non riducono i tempi del civile, che non danno strumenti ai pubblici ministeri. E intanto i processi durano sette, otto, dieci anni. E i soldi dell’Europa, promessi con il PNRR per abbattere il 40% dell’arretrato entro il 2026, non sono serviti a niente. Siamo ancora fermi al 20%. E se non raggiungiamo quell’obiettivo, dovremo restituire i fondi.»

Per il magistrato calabrese, il cuore del problema non è soltanto tecnico ma culturale. «Quando si parla di giustizia – spiega – la prima cosa che si deve fare è parlare chiaro. Gli italiani devono capire con parole semplici cosa sta accadendo. Questa riforma, che verrà sottoposta a referendum, serve a controllare i pubblici ministeri. Non è una riforma della giustizia, ma del potere. Perché chi detiene il potere, qualunque colore politico abbia, non vuole essere disturbato.»

Gratteri invita i magistrati a uscire dalle aule dei convegni e a tornare tra la gente. «Andate a parlare nei luoghi dove la gente vive – dice – al campo di calcetto, nei teatri, nei circoli. Parlate con parole comuni, perché il cittadino ha il diritto di capire e di scegliere consapevolmente.»

Si è detto che con la separazione delle carriere il pubblico ministero sarà più forte e autonomo. «Ma non è vero – ha detto Gratteri – no, non voglio un PM forte, voglio un PM sereno, libero, capace di lavorare senza paura, senza pressioni, senza il timore di essere sanzionato se tocca interessi sensibili.» Il rischio, secondo Gratteri, è quello di creare un modello di magistrato «mite, burocratico, rassegnato». «Per quieto vivere – afferma – molti finiranno per non rischiare. E un magistrato che ha paura non è più utile ai cittadini, perché la giustizia ha bisogno di coraggio. Se il giudice o il PM si piegano alla paura o alla convenienza, allora non abbiamo più una giustizia, ma una burocrazia del silenzio

Gratteri non risparmia critiche nemmeno al modo in cui è organizzato il sistema giudiziario. «Lo dico da anni: bisogna chiudere i tribunali piccoli. Non si può pretendere di amministrare giustizia con procure che hanno un solo sostituto o due magistrati. È un sistema inefficiente, eppure si continuano ad aprire nuovi tribunali. Un esempio, quello di Bassano del Grappa, nonostante il parere contrario di tutti. Perché?». Il tono si fa amaro: «Le scelte sulla giustizia non dovrebbero mai essere territoriali o di convenienza. Dovrebbero essere tecniche, razionali, basate sull’efficienza. Ma finché si continuerà a governare la giustizia con criteri elettorali, avremo una giustizia lenta, fragile e sempre più distante dai cittadini

Il magistrato ricorda che da decenni i governi tagliano le risorse ai tribunali e alle procure. «Abbiamo assunto dodicimila dipendenti a tempo determinato – dice – per aiutare i giudici a scrivere le sentenze, ma non sappiamo ancora se verranno stabilizzati. Si parla di metà, di un quarto, di un ottavo. È assurdo. Come possiamo pensare di ridurre i tempi della giustizia se non diamo stabilità a chi la fa funzionare ogni giorno?» «Nel frattempo – aggiunge – la criminalità organizzata cresce e si adatta. In molte aree del Paese, dove la giustizia civile non esiste: se qualcuno ha un credito da recuperare, si rivolge all’‘Ndrangheta, alla Camorra o a Cosa Nostra. Questa è la verità. E questo accade perché lo Stato ha abdicato al suo ruolo.»

E per quanto riguarda le indagini, Gratteri risponde anche alle recenti dichiarazioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che aveva proposto di ridurre le intercettazioni e di «tornare ai pedinamenti». «Ma come si fa – replica – a parlare di pedinamenti nel 2025? Oggi con un telefonino posso ordinare tonnellate di cocaina dal Sud America senza muovermi da casa. Senza intercettazioni, come pensiamo di combattere i narcos o i clan? È anacronistico. Le forze dell’ordine non hanno personale sufficiente neanche per trascrivere le intercettazioni in tempo, figuriamoci per pedinare i criminali.» E aggiunge con tono ironico: «Abbiamo strumenti che permettono di estrarre il DNA anche da un capello o dalla forfora, ma c’è chi vorrebbe indagare come negli anni Cinquanta. Non si può tornare indietro di settant’anni.»

Gratteri affronta anche il tema delle grandi opere pubbliche: «Sul ponte sullo Stretto si dovrebbe fare un referendum e chiedere ai calabresi e ai siciliani se è davvero una priorità. Io vivo in Calabria – dice – e so bene com’è la situazione: la linea ferroviaria Reggio-Taranto è ancora a gasolio, le strade sono le stesse del ventennio, e in Sicilia ci sono paesi dove l’acqua arriva ogni quattro giorni. Con gli stessi soldi si potrebbero costruire linee ad alta velocità, bacini idrici, dissalatori. Queste sono le vere emergenze del Sud